Nicola Pilat, 44 anni, è un ex alcolista. Follinese di nascita e padre di due figli, racconta la sua storia senza filtri. “Parlare di alcolismo fa paura – racconta – è un tabù. Ma ciò non fa che alimentare la vergogna in chi ne soffre, rendendo ancora più difficile ammettere il problema. Io non mi vergogno del mio passato, anzi sono grato del percorso fatto e delle consapevolezze che ne ho tratto. Oggi portando la mia testimonianza spero di dare speranza a chi naviga nel buio più totale”.
Dalle prime sbornie alla dipendenza
“Le prime sbronze le ho prese in adolescenza. Ero timido e introverso e qualche bicchiere mi faceva sentire più sicuro e predisposto a socializzare con gli altri. L’autostima era sotto i tacchi, a scuola ero quello ‘bravo ma non abbastanza’, mentre al lavoro ero il ‘mona’. Quando avevo vent’anni ho perso mio fratello, morto giovane a causa di una lunga malattia. Anche prima della sua morte in famiglia si parlava poco e qualsiasi espressione di felicità stonava con il contesto”.
Dopo la perdita del fratello, Nicola inizia a sentirsi divorato dai sensi di colpa, “per non essergli stato abbastanza vicino” e in quell’anima malinconica e insicura inizia ad annidarsi qualcosa di più grande: la depressione. “È lì che il consumo di alcol da occasionale è diventato una costante, un cattivo compagno di viaggio per sopportare un dolore interiore incomunicabile”.
“L’alcool era il mio primo pensiero al mattino e l’ultimo prima di andare a dormire: era parte della mia ‘normalità‘. La mattina partivo per andare al lavoro – Nicola fa il cartongessista – con un’ ‘innocua’ scorta di ‘birrette’ da condividere nelle pause. L’orario della prima birra era alle 11, e se non era birra era uno spritz, ma con il tempo l’orario prefissato veniva sempre prima, si parte con un’ora, poi due, e via così fino a bere dal mattino. L’ora di pranzo era una liberazione, un momento in cui rincarare la dose con qualche bicchiere di vino. Quando entri nella spirale dell’alcolismo, bere diventa una droga, anzi è una droga, e dopo qualche ora senza assumere alcol arrivano le crisi di astinenza”.
Quando bere diventa la “normalità”
Per un alcolista ammettere il problema è il primo grande passo verso la guarigione, e il contesto in cui si vive gioca un ruolo fondamentale. “Il contesto nel mio caso giocava a mio sfavore – racconta Nicola – ora che ne sono uscito mi accorgo di quanto l’alcol e lo ‘sbronzarsi’ sia ‘normalizzato’ nella nostra società. Bere, anche bere molto, non solo è legittimo, ma passa come qualcosa di ‘figo’. Se non bevi e ti dai dei limiti sei il guastafeste. Nel periodo di disintossicazione ai miei ‘no’ mi sentivo chiedere se stessi bene, passavo per quello ‘strano’ che si sottraeva dal fare gruppo. La pressione sociale, in particolare in luoghi come il Veneto, dove l’abitudine del bere è fortemente radicata, è altissima e si nutre di leggende metropolitane: dal vino che ‘fa sangue’, al whisky che ‘fa bene al cuore’, per citarne alcune. Falsi miti pittoreschi e pericolosi”.
L’inizio del percorso e la ricaduta
Se oggi Nicola può farsi testimone di una storia di rinascita è anche grazie alla sua compagna, Chiara, l’amore ritrovato dopo la fine del suo matrimonio. “È lei che mi ha spinto a guardarmi allo specchio e a riconoscere il problema – spiega – Le sarò sempre grato per essermi stata vicina nei momenti più bui, anche quando siamo stati ad un passo dalla rottura: l’alcol tira fuori il peggio di te stesso e non appena qualcuno che ti sta accanto cerca di farti presente che c’è un problema tu lo respingi. Ma è solo un rimandare i conti con te stesso”.
La trasformazione di Nicola inizia due anni fa. “Mi rivolsi ad una persona con un passato nell’alcolismo che mi indirizzò al Serd di Conegliano. Era il giorno del mio compleanno, il 16 febbraio, la data perfetta per una rinascita, pensai. Per tre mesi non toccai un goccio di alcol (anche grazie a dei farmaci specifici che prevengono le crisi di astinenza) poi però è arrivata la ricaduta. Ricordo che ebbi una discussione al lavoro e reagii nel peggiore dei modi. La ricaduta è stato il punto più basso del mio percorso, e il più pericoloso, perché devi affrontare una perdita totale di motivazione”.
La comunità e la rinascita
La svolta per Nicola arriva con l’ingresso in comunità, a Castelfranco Veneto. “Cinquanta giorni trasformanti dove ho avuto il tempo di guardarmi dentro. L’ingresso nella struttura è stato traumatico perché ho visto le conseguenze più estreme che l’alcol può avere nelle persone, ma anche motivante: per la prima volta non mi sono sentito solo nell’affrontare il problema”.
“All’inizio è stata dura abituarsi alla nuova routine che comporta il condividere una stanza con altri e vivere una giornata non più cadenzata dai bicchieri ma da pasti regolari, turni di pulizia degli spazi comuni, momenti dedicati all’attività fisica e alla cura di sé stessi, cosa che quando sei nel vortice dell’alcolismo non fai più. Quella routine, inizialmente faticosa, si è rivelata salvifica: mi ha ridato l’identità che l’alcol ti toglie e insegnato la forza delle piccole e buone abitudini, come fare una passeggiata di mezz’ora al giorno. Da che l’inizio è stato traumatico, quando è arrivata l’ora di uscire mi sono scese le lacrime. Lì dentro sentivo di aver creato relazioni autentiche con gli ospiti e con tutte le persone che si sono prese cura di me”.
Tornare alla propria normalità dopo un percorso di riabilitazione fa paura. “Sono tornato a casa pieno di voci negative nella testa e ansie di non farcela da solo, oltre alla preoccupazione di aver mancato cinquanta giorni di lavoro che per chi ha la partita Iva come me pesa nel bilancio mensile. Ricordo bene quel giorno: stavo male, ero spaventato, e allora presi il cane e andai a passeggiare, come avevo imparato in comunità dove non ci si disintossica solo, ma si imparano nuovi modi per fronteggiare il dolore e per controllare l’impulso di bere quando questo sembra prendere il sopravvento. Il primo periodo è il più delicato, devi stare lontano dalle tentazioni e circondarti delle persone giuste. Bisogna accettare di lasciarsi alle spalle molte persone ‘amiche’ solo nella circostanza e che venuto meno l’atto di bere così tanto amiche non sono”.
Un fuoco dentro
Quest’anno Nicola ha pubblicato il libro autobiografico dal titolo “La mia rinascita. Tornare a vivere dopo aver toccato il fondo”. “La guarigione mi ha acceso un fuoco dentro, una voglia impellente di raccontare la mia storia per dare speranza agli altri, per quanto inizialmente l’idea di scrivere un libro non mi sembrava alla mia portata. Sono cresciuto con i Dylan Dog e ho un diploma da geometra, la letteratura non è mio pane. A dire la verità volevo studiare arte e disegno, come mio fratello, ma fu deciso che era ‘troppo difficile per me'”
“In comunità ho scoperto la potenza della lettura e il suo potere di trasportarti altrove. Per questo devo ringraziare il mio amico alpinista e autore Max Solinas che mi è stato vicino nei momenti più bui e che prima di entrare in comunità mi ha regalato il suo libro “Viaggio verticale”. Da lì ho ripreso a leggere con regolarità e poi a cimentarmi con la scrittura. Ho iniziato a scrivere in piccoli bloc-notes, di quelli che si usano per la lista della spesa. Dopo aver finito l’ennesimo taccuino, incoraggiato da un amico, ho comprato un pc e ho trascritto gli appunti sul digitale. Ho rigettato sulla tastiera tutto quanto: dalla morte di mio fratello al mio percorso in comunità, e una pagina dopo l’altra ho sentito che quel disastro man mano assumeva una sorta di ordine”.
All’interno del libro, per scelta, Nicola ha voluto riportare i propri contatti personali. “Alcune persone mi hanno scritto per raccontarmi la loro lotta con l’alcolismo. A chi vive nella dipendenza voglio dire che il punto di partenza è ammettere il problema, mettendo da parte vergogna e sensi di colpa, ma anche che la decisione di cambiare è una cosa che si deve fare per sé stessi, con una motivazione che viene da dentro di noi. Uscire dal baratro, per quanto sembri impossibile in certi momenti, si può”.
“Non avrei mai pensato di dirlo ma sono grato del mio percorso, nella sua interezza, compresi i momenti più bui. So che mi hanno portato ad essere la persona che sono oggi, con nuove consapevolezze e con la capacità di stabilire relazioni vere con gli altri, scoprendo la bellezza dell’empatia e dell’ascolto. Ora che mi sento libero e con il cuore leggero, mi capita di provare una tale gioia per le piccole cose da sentirmi un bambino, tanto che mi tocca riportarmi con i piedi per terra – scherza – Se ho paura di ricadere nella dipendenza? Sono consapevole che dall’alcolismo non si guarisca mai: la ricaduta è sempre dietro l’angolo e anche dopo vent’anni una sola birra può fregarti. Bisogna tenere sempre alta la guardia. Io non bevo da oltre 700 giorni. Li conto, ma credo che smetterò di farlo perché voglio pensare solo all’oggi. Non a ieri o al domani, bensì al presente, dove un passo dopo l’alto si costruisce il futuro. Un presente in cui finalmente sento di aver fatto pace con me stesso”.
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