Cantanti “clonati” con l’intelligenza artificiale, che ne sarà della creatività? La riflessione del musicista Enrico Nadai

Intelligenza artificiale nella musica, la riflessione di Enrico Nadai
Intelligenza artificiale nella musica, la riflessione di Enrico Nadai

Che valore ha la creatività umana ai tempi dell’intelligenza artificiale (in sigla AI)? E la tecnologia in che misura sta travolgendo il nostro modo di rapportarci al mondo dell’arte? La domanda sorge spontanea leggendo che i Beatles faranno una reunion ricreando digitalmente la voce di John Lennon con all’AI, e che un utente del web è riuscito a “clonare” le voci di due star del pop come Drake e The Weeknd lanciando una hit inedita dei due artisti (poi rimossa da Youtube). 

Nei giorni scorsi il famoso dj David Guetta, in controtendenza rispetto alla gran parte del mondo musicale ha detto: “Il futuro della musica è l’intelligenza artificiale”, facendo tremare i polsi agli esperti di copyright. 

Enrico Nadai, cantautore con una laurea in filosofia e insegnante di musica originario di Farra di Soligo, ci offre una riflessione sul ruolo dell’intelligenza artificiale in ambito artistico, fra incognite e valutazioni etiche. 

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando anche il modo di fare musica? 

“Le notizie che ci arrivano dal mondo musicale non mi meravigliano per niente – commenta Nadai -. Oggi ci troviamo in quello che Jacques Ellulchiamava ‘sistema tecnico’ che mira continuamente alla sua espansione. Ormai non c’è aspetto della nostra vita che non sia caratterizzato da un’interazione con il mondo tecnico che non poteva che coinvolgere anche la musica, semplificandola sotto certi aspetti e rendendola più complessa sotto altri: pensiamo ad esempio a strumenti come l’auto-tune che rende intonato chiunque. Quanto queste forme di tecnicizzazione siano ormai compenetrate nel mondo musicale lo dimostrano anche i nuovi indirizzi di studio in conservatorio (o percorsi di studio musicali affini) che consentono di specializzarsi proprio in tecnologie musicali”. 

L’uomo sarà all’altezza delle sue stesse invenzioni? 

“Il grande pensatore Martin Heidegger anni fa, in una conferenza, sottolineò come il problema non risieda nel precedere del mondo verso un dominio tecnico, bensì nel livello di preparazione dell’uomo nell’affrontare una realtà dominata dalla tecnologia. Noi, infatti, tutt’oggi non siamo pienamente consapevoli degli effetti su larga scala di questo dominio. Calandoci nell’ambito musicale se non sono resi conto anche Drake e The Weekend. E lo stesso vale per il mondo dell’istruzione quando si parla di sostituire gli insegnanti con dei computer. Ne parlava qualche tempo fa lo stesso Bill Gates: più che ad un’umanizzazione della tecnica si va verso una tecnicizzazione dell’uomo di cui non conosciamo gli effetti a lungo termine”. 

Come farà l’uomo ad orientarsi in questa complessità senza perdere il suo “fattore” umano? 

“L’uomo ha sempre avuto questa propensione verso la produzione di strumenti tecnici, lo scriveva anche Platone, per cui la téchne era uno strumento nelle mani dell’uomo per esercitare il proprio dominio. Da quando la tecnica si è fatta sistema, la dinamica si è invertita, con il rischio che sia la tecnologia a dominare l’uomo.  Lo vediamo quotidianamente nelle nostre relazioni interpersonali che sono mediate dalla tecnologia. Oggi chi non impiega i social o WhatsApp per comunicare rischia di diventare un reietto, questo per dire che è l’uomo a doversi adattare alle strumentazioni tecniche. Il poeta Mallarmé diceva che tutto il mondo esiste per finire in un libro, oggi diremmo piuttosto che tutto il mondo esiste per essere condiviso sui social. Il problema è che quello della tecnologia è un linguaggio uniformante, che se applicato all’ambito musicale fa correre il rischio che le canzoni diventino tutte uguali. Io credo che in tempi non lunghissimi, quasi tutti avranno un brano pubblicato, che diventerà una sorta di ‘biglietto da visita’ di ognuno. Il settore musicale, dove oggi si parla sempre più con il termine tecnico di ‘produzioni’, dovrà fare una selezione, ma che non per forza sarà qualitativa. La qualità è un aspetto che oramai non ci si pone più, è che è sempre più difficile da valutare in maniera oggettiva, al di fuori degli standard definiti dalla tecnica. Capita spesso di fare ascoltare un brano e sentirsi dire che ‘suona vecchio’, e questo proprio perché l’avanzare tecnico ha definito delle nuove sonorità”.

Questa evoluzione tecnologica arriverà mai ad un picco? 

“Ci sono teorici della singolarità che sostengono che nel 2045 ci sarà un picco del potenziale tecnologico che loro chiamano di singolarità, e condurrà l’umano al post-umano, ovvero ad essere qualcosa di più rispetto a quello che è adesso, e dunque con capacità fisiche e cognitive potenziate. Ma qui si apre una grande incognita sull’uso che l’uomo del futuro potrà fare di questa super intelligenza: un uso buono magari, oppure un uso cattivo se i parametri etici rimarranno commisurati all’uomo del passato. I grandi creatori di tecnologie, pensiamo solo a Google, sono i primi ad essere diffidenti, tanto che hanno fatto notizia diversi casi di dirigenti del big dell’informatica che si sono licenziati”. 

E quindi, che ne sarà della creatività umana?

“Difficile a dirsi, per ora l’uomo naviga a vista e con grossi inciampi a mio avviso. Una volta la si invocava con le muse, oggi la creatività si invoca con la tecnologia con il rischio che si perda moltissimo del modo di fare musica, almeno fino ad oggi”.

(Fonte foto: Qdpnews.it – Enrico Nadai).
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