“Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dichiara i ricorsi riuniti inammissibili”: questa è l’ultima frase della sentenza emessa ieri 4 marzo a seguito del ricorso portato avanti dal Comune di Crocetta del Montello e dai Comuni rivieraschi contro la delibera 302 della giunta regionale del Veneto e la 3 della Conferenza Istituzionale Permanente dell’Autorità di Bacino Distrettuale delle Alpi Orientali, che danno il via all’iter progettuale delle casse di espansione a Ciano del Montello.
La notizia è giunta velocemente nel Comune crocettano lasciando l’amaro in bocca ma non certo spegnendo la voglia di cercare una soluzione migliore per le comunità interessate.
“Questo esito non ci ferma – spiega la sindaca Marianella Tormena – stiamo valutando altre strategie, dobbiamo focalizzarci sull’ambito scientifico nella trattazione di questo tema. Naturalmente confidiamo nell’appoggio delle popolazioni rivierasche che ben capiscono l’entità del prezzo che dovranno pagare: allo stato attuale l’unica ipotesi finora considerata dalla Regione è il progetto sulle Grave di Ciano”.
La sentenza riporta: “L’omessa valutazione del pregio ambientale del sito, riconosciuto a livello unionale, zona SIC e ZPS, ad avviso del Comune ricorrente cioè Crocetta, paleserebbe l’illegittimità sostanziale della procedura avviata dalla Regione resistente, elusiva altresì della partecipazione dell’Ente locale nel cui territorio ricadono le casse d’espansione come programmate”. E continua: “Nella descritta cornice procedimentale, il motivo d’impugnazione che lamenta l’omessa valutazione del pregio ambientale del sito, è inammissibile per carenza d’interesse poiché la relativa valutazione, lungi dall’essere stata omessa o elusa, è rimessa alla fase successiva del procedimento, allo stato, ovverosia al momento dell’impugnazione, ancora in fieri”.
In poche parole, verrà valutato il pregio dell’area, attualmente tutelata zona SIC e ZPS, più avanti.
“La notizia non è delle migliori – spiega il Vicesindaco Giancarlo Fritz – ma non commenterò l’esito di un tribunale, non è il mio compito. Questa è l’occasione per interrogare davvero la politica: nessuno vuole gettare il problema della gestione delle acque nella zona del basso Piave ma questo fiume deve essere rispettato. Lungo il suo corso ci sono 12 laghi artificiali, 13 dighe, 300 prese, 30 grandi centrali idroelettriche, 200 km di condotte: è facile capire come la Piave sia un fiume altamente cementificato. Chi progetta dovrebbe confrontarsi con le persone che vivono questi territori, scelte così radicali, di distruzione di un intero ecosistema, non andrebbe imposte dall’alto. La politica lo cerchi, quel confronto, quel dialogo, lo deve alla propria cittadinanza. Noi lo chiediamo da anni, così come la valutazione di eventuali soluzioni differenti, più moderne: non possiamo risolvere sempre tutto con il cemento”. Viene da chiedersi cosa rimarrà del fiume sacro alla Patria.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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