“La dannunziana impresa di Fiume ha radici trevigiane” con questa frase, nel contesto di uno degli edifici più belli di Crocetta, villa Pontello, Giorgio Frassetto apre il racconto di un avvincente viaggio in cui appare anche uno dei personaggi più brillanti e controversi del Novecento italiano.
In questa storia, però, il narratore, che corrisponde all’ispiratore, non è un saggista, né uno storico, ma un ufficiale dei Granatieri che descrive ne “I Disertori di Ronchi”, senza censure e da testimone protagonista, i fatti e gli antefatti così come realmente li ha vissuti.
Un libro approvato da Gabriele D’Annunzio con le seguenti parole “ho letto il tuo bel libro. Caro Riccardo, ora sei autore fra gli autori”: grazie al legame mai dissolto tra Giorgio Frassetto e suo zio Riccardo, nasce così la narrazione di una testimonianza in soggettiva delle vicissitudini successive alla Grande Guerra e anticipa quella tensione che contribuì a far scoppiarne una seconda.
Se per l’Italia la faccenda di Fiume era iniziata il 18 gennaio del ’19 con il Trattato di Versailles, per il giovane tenente dei Granatieri di Sardegna, Riccardo Frassetto, la vicenda iniziò l’8 settembre successivo quando lui bussò per la prima volta alla porta della Casa Rossa, la residenza veneziana di Gabriele D’Annunzio.
Frassetto, originario di Crocetta del Montello, era il referente dei legionari di Ronchi, sette ufficiali dall’ideologia sovversiva e disposti a morire per essa, che vedevano in D’Annunzio un comandante ideale. Da allora, e fra i due, si stabilì un rapporto di fiducia, di amicizia e di frequentazione, che durò fino al 1938 con la morte del “Vate”. In questi anni, densi di ideologie politiche in netto contrasto, la questione di Fiume divise l’Italia, anche dopo che l’impresa di questi ostinati combattenti fallì.
Era l’alba del fatidico 12 settembre 1919, quando un piccolo esercito di 186 granatieri al comando di D’Annunzio, partì da Ronchi per liberare Fiume e annetterla all’Italia: un’azione guerresca, discussa e controversa. Il Governo di Nitti, e poi quello di Giolitti, condannarono e si opposero all’Impresa, che durò 16 mesi, fino al Natale di Sangue del 1920: il fatto accese l’animo di molti italiani.
Il dipanare degli eventi verrà raccontato in questa rubrica con più episodi, ricavati dal libro di R. Frassetto e curati attentamente da suo nipote.
Giorgio vi ha dedicato un intero libro intitolato “Zio Riccardo. La vita, la storia, le imprese”, per scoprire quanto il trevigiano abbia creduto nella presunta legittimità dell’appartenenza di Fiume all’Italia, come secondo il diritto di appartenenza dei popoli.
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it