“Anca me pàre, anca me nono l’era del Val Cismon!”
“Chi che le riusì a tornar nol volea parlar, quel che i ha vivest là dentro Dio solche lo sa!”.
Emozioni e lacrime ieri sera, sabato 25 gennaio, a Farra di Soligo per celebrare degnamente l’odierna Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino.
Ospite d’eccezione all’auditorium “Santo Stefano” Guido Aviani Fulvio, direttore del Museo storico della Campagna di Russia di Cargnacco (provincia di Udine), uno dei più profondi conoscitori di questa insensata tragedia umana italiana della Seconda guerra mondiale.
Aviani, presentando il prezioso libro “Trincee di ghiaccio” ad un numeroso pubblico invitato dal Gruppo alpini di Farra di Soligo e dall’amministrazione Perencin, ha posto l’attenzione su una storia di casa nostra: i circa 1600-1700 alpini “Razza Piave” del Battaglione Val Cismon.
Orgogliosamente parte del 7° Reggimento alpini, poi inquadrati nel 9°, il Val Cismon, inglobato nella gloriosa Divisione Julia, partì da Gorizia per la Russia ad inizio estate del 1942 andando a dar vita all’Armir (Armata italiana in Russia) con i suoi 220-230 mila uomini del Regio Esercito (tra cui 60 mila alpini) schierati sul tristemente noto fiume Don.
Storie di Penne Nere di casa nostra che obbedirono ad assurdi ordini in condizioni ambientali impossibili mal equipaggiati per affrontare il terribile inverno russo e i figli di una terra immensa, governata da Stalin, che morirono a milioni per difendere ad ogni costo il loro Paese dall’invasione dell’Asse.
Il battaglione Val Cismon, composto da 1600 uomini nati dal 1910 al 1922 trentini, friulani, veneti e della Marca Trevigiana, furono incolpevoli vittime di una scelta politica folle. Uomini sacrificati in modo ignobile per le mire deliranti di Hitler e Mussolini.
Pochi uomini del Val Cismon tornarono a “baita” feriti o congelati, questa la loro unica fortuna nell’immensa tragedia della ritirata raccontata senza fronzoli da Rigoni Stern e Bedeschi. Uomini che, per la maggior parte (ne tornarono 300 su 1600/1700), furono fatti prigionieri dai Russi nel gennaio 1943, sacrificati per salvare la Julia e le altre divisioni alpine (Tridentina e Cuneense). Non videro mai più madri, padri, morose, fratelli e sorelle, amici.
Quella del Battaglione Val Cismon è parte di una storia più grande, una storia comune, una storia che non ha bisogno di parole, le emozioni e le lacrime nate spontaneamente ieri sera parlano da sole.
Ricordare queste persone oggi, 26 gennaio, a 82 anni dall’immensa tragedia, non deve insegnarci nulla. La storia non è mai stata, e mai sarà, magistra vitae. “La storia siamo noi, nessuno escluso”, grazie Maestro De Gregori!
E allora lasciamoci trasportare dai ricordi calpestati e offesi di questi italiani, veneti e trevigiani congelati nell’anima oltre che nel corpo, tutto il resto si chiama politica, retorica, ciacole dell’ultimo minuto che lasciano il tempo che trovano.
Chi è tornato si è prima visto nascondere con vergogna dal Fascismo già durante il viaggio di ritorno in convogli ferroviari semivuoti, poi messo in ginocchio dalla guerra civile e dalla prigionia, infine svuotato dentro a tal punto dal rimorso di essere riuscito a “tornare a baita” (mentre tanti amici non ce l’avevano fatta) da desiderare il lungo oblio di ogni ricordo.
Oggi, 26 gennaio, ricordatevi di loro, anche se soldati invasori, tenete vivi i loro nomi, ricordate chi non fece ritorno, ricordate le madri, le mogli, le fidanzate e le figlie, ricordate.
(Autore: Luca Nardi)
(Foto: Luca Nardi)
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