Le memorie di una vite: 80 anni di storia tra raccolti e mani sapienti

Se i “veci” (per usare il dialetto trevigiano) tramandano saperi e saggezze, così anche le viti anziane ricordano quanto accaduto nei loro anni di vita. Sembra assurdo ma è la bellezza della natura e di quelle piante della zona del Conegliano Valdobbiadene Docg, che sono state plasmate dal trascorrere del tempo, dalle intemperie, dal cambiamento climatico e dalle sagge mani dell’uomo. E così, attraverso la storia di queste piante storiche e stoiche, possiamo raccontare anche le sfide e i cambiamenti che il Consorzio ha dovuto affrontare.

Come a fare da sentinella a un paesaggio mozzafiato tra le rive di Farra di Soligo, in località Riva Granda, nell’omonima proprietà di Silvia Spadetto è presente un vigneto piantato nel 1950. Ma prima di raccontare la storia di queste piante “che hanno prodotto per quasi ottanta volte” come sottolineato da Diego Tomasi, direttore del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, non ce ne voglia l’attento lettore se le immagini del vigneto non corrispondono alla stagione attuale, ma a qualche settimana fa.

“Siamo davanti a una vite che ha vissuto ottanta inverni e altrettante primavere – continua Tomasi – ma che ci può anche dire come è cambiato il clima in questo periodo, visto che ha sfiorato l’ultima gelata, quella del 1929, in cui anche la laguna di Venezia ghiacciò. Sicuramente è stata però colpita dal grande freddo di qualche anno dopo, quello del 1985-86”.

Quella dell’azienda agricola di Silvia Spadetto è una vite che fino agli anni Novanta non aveva mai dovuto sopportare gli oltre 35 gradi nei periodi più caldi, ma che ha saputo adeguarsi superando anche una delle prove più tangibili del cambiamento climatico, visto che oggi queste temperature vengono raggiunte almeno per quindici giorni durante l’estate.

“Se potessimo leggere la sua storia scopriremo che nel trentennio successivo a quando è stata piantata questa vite veniva trattata solo con zolfo, rame e calce e che veniva concimata con il letame – continua Tomasi – anche il modo di tagliare l’erba è cambiato visto che un tempo la cura delle piante era manuale e non si utilizzavano i decespugliatori”.

Addentrandosi in zone non visibili all’occhio umano, come l’apparato radicale, scopriremo che le sue radici pesano molto di più della parte superiore e che questo arriva a oltre due metri di profondità. “Non è una banalità poter toccare questa vite – conclude il direttore – fatta di curve e di rugosità che in maniera artistica l’uomo ha fatto per garantire la produzione” come una sorta di opera d’arte che rende unico il paesaggio in cui si trova.

(Autore: Simone Masetto)
(Foto e video: Simone Matteo)
(Articolo, foto e video di proprietà di: Dplay Srl riproduzione riservata)
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