La storia del murales dantesco “perduto” dentro l’ex Zanussi: “Lì dentro era un vero inferno ma ci potevamo esprimere liberamente”

Nel 2021 non ricorrono solamente i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, ma anche i dieci anni della realizzazione di un’opera coneglianese legata al Sommo Poeta.

Si tratta del grande graffito ispirato ai canti dell’Inferno e dimenticato in un luogo inaccessibile ai più: i capannoni dell’ex Zanussi.

A dispetto di quello che si potrebbe credere, l’opera non fu il frutto di un’intrusione abusiva nell’area abbandonata: dietro la sua realizzazione c’era un gruppo ben organizzato di writers che già da tempo aveva avviato una proficua collaborazione con i proprietari degli immobili, prima la Electrolux e poi la Conegliano Iniziative Immobiliari spa.

Il collettivo contava di alcuni writers che conoscevano bene il luogo, in quanto parte del gruppo originale della Cremeria art group che aveva già decorato negli anni precedenti i muri dismessi della fabbrica con opere che avevano fatto scuola nella scena nazionale, a cui si aggiunsero artisti di varie nazionalità.

L’idea del murales però non nacque a Conegliano, bensì ad Oderzo, dove proprio nel 2011 la Fondazione Oderzo Cultura aveva organizzato “La Divina.com”, mostra d’arte nel quale il celebre fumettista Altan veniva confrontato con l’illustratore opitergino Alberto Martini, esponendo illustrazioni di entrambi gli artisti ispirate alla Divina Commedia.

Da qui l’intuizione di un progetto collaterale: alcuni graffiti, anch’essi ispirati alla Divina Commedia e infarciti di citazioni dei due artisti, da realizzare in diverse aree urbane da riqualificare e su cui sperimentare possibilità innovative di fruizione per il pubblico grazie alle tecnologie digitali.

Per Oderzo la scelta cadde sul sottopasso di via Gorgazzo, dove sono ancora oggi visibili i murales, mentre per Conegliano la scelta fu quasi inevitabile: non solo per il legame indissolubile degli artisti con la scena locale, ma anche perché il parcheggio di via Pittoni e le strutture della Zanussi erano ormai una sorta di luogo di culto per tanti writers che lì si erano fatti le ossa.

Alessandro Alemanno, nome d’arte “Spazio”, era tra i writers che facevano la spola tra Oderzo e Conegliano in quegli anni: tra i fondatori di Cremeria art group, il collettivo di Graziano “Ken” Maso che fece dell’ex Zanussi il proprio regno, e di Kantiere Misto, associazione che lanciò l’iniziativa dei murales danteschi, oggi rappresenta la memoria storica di quegli anni in cui la creatività giovanile trovò sfogo in un laboratorio di cultura alternativa.

L’idea era quella di unire due città importanti per noi – ricorda Alessandro – con delle murate gemelle, collegate tramite QR code a un sito dove si potevano vedere i murales della Zanussi, altrimenti non visibili al pubblico”.

“Le opere dovevano essere basate sui tre colori della mostra – prosegue il writer – ovvero bianco, nero e rosso, e nei graffiti di Oderzo si trovano molti riferimenti ad Altan e Martini”.

Diverso il discorso dei murales della Zanussi, accessibili digitalmente ma nascosti al pubblico di passaggio, quindi meno soggetti a vincoli, spiega Alessandro: “Lì c’era più libertà di espressione e i soggetti diventarono più truci, del resto il progetto si chiamava “From Wall to Hell”, ovvero “Dal muro all’Inferno”, perché lì dentro, all’epoca, era un vero e proprio Inferno”.

Quello che i giovani writers trovarono all’interno della fabbrica dismessa, confermano varie fonti, fu effettivamente un luogo surreale e dannato: vere e proprie colline di terra rimossa durante la costruzione delle vicine Torri verdi e stivata all’interno di quelle strutture decadenti di metallo e vetro e, qui e lì, qualche spazio ripulito ed adibito per usi specifici che testimoniavano non solo la frequentazione regolare, ma anche quanto quel luogo fosse già all’epoca un abisso di emarginazione e disperazione.

Ad un certo punto, ad esempio, fece la sua comparsa un ring allestito con materiale di fortuna: quattro colonne legate con corde e delle piccole tribune per un ipotetico pubblico.

Era un periodo in cui il film “Fight Club” godeva ancora di grande notorietà ma nessuno può testimoniare che il ring sia stato realmente utilizzato: forse si trattava solo della goliardata di un gruppo di ragazzini, ma di certo rendeva bene l’idea del fatto che lì dentro tutto era possibile.

Ben più credibili e drammatiche le postazioni utilizzate regolarmente dai tossicodipendenti per drogarsi: spazi con giacigli, focolai e strumentazione per l’occorrenza tenuti puliti e curati per lunghi periodi.

Da lì a poco il naufragio della Conegliano Iniziative Immobiliari spa e del progetto Setteborghi finì per oscurare anche quest’opera, finita presto del dimenticatoio e oggi in attesa di una riqualificazione dell’area che con tutta probabilità la porterà alla distruzione.

“Il progetto non ebbe il successo sperato – spiega Alemanno – ma la sua condizione attuale riflette l’evoluzione della cultura del writing: noi ambivamo a conquistarci spazi pubblici, oggi i writers si sentono spesso marginalizzati dalla società e quindi scelgono spazi abbandonati dove possono operare per se stessi senza chiedere permesso, magari testimoniando il proprio lavoro semplicemente con una foto sui social”.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata – facebook).
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