Domenico Scimone, direttore generale di Carpenè Malvolti, ci accoglie nel cuore della storica cantina di Conegliano, completamente restaurata in occasione del 150esimo dalla fondazione. Il pregio architettonico della nuova struttura, varrebbe già di per sé una visita. Dettagli rinascimentali e design moderno convivono in perfetta armonia nell’edificio (che in passato fu un convento), ospitando la parte produttiva e gli uffici, gli alloggi della famiglia Carpenè, ma anche una mostra immersiva dedicata alle Colline di Conegliano Valdobbiadene e la splendida hall centrale, illuminata da luce naturale, che si offre come cornice ideale per concerti e degustazioni.
Oggi la Carpenè-Malvolti esporta lo spumante più amato al mondo in 65 Paesi, coniugando quella spinta innovativa che la contraddistingue dal 1868 con la custodia di un’eredità storica preziosa, che va ben oltre le vicende della singola cantina, ma che riguarda in generale tutto il sistema Prosecco come lo conosciamo oggi. Fu il capostipite Antonio Carpenè, scienziato e convinto garibaldino (prese parte alla seconda spedizione dei Mille), ad intuire la vocazione delle Colline alla produzione di un vino spumante “democratico, festoso e alla moda francese“, che in termini di qualità tuttavia non avrebbe avuto nulla da invidiare alle blasonate bollicine d’Oltralpe.
Dal primo censimento dei vitigni presenti nel territorio, passando per l’applicazione di un nuovo metodo di produzione, fino alla fondazione della prima scuola enologica in Italia, e il tutto senza mai sottrarre le terre contadini, ai sogni e alle geniali intuizioni dello “Steve Jobs del Prosecco” dobbiamo “tutto”, come spiega bene il direttore generale della cantina Domenico Scimone.
“Ora ci troviamo non solo nel cuore della cantina Carpenè-Malvolti, ma anche nel ventre di quello che è il territorio di Conegliano Valdobbiadene che dal 2019 è Patrimonio dell’Umanità. A 140 anni da quando Antonio Carpenè, un visionario, a metà ottocento convinse gli agricoltori del tempo ad espiantare il mais e piantare le viti, questo territorio baciato dalla natura e dalla virtù degli uomini ha ottenuto il più alto riconoscimento da parte dell’Unesco. Ma tutto – sottolinea Scimone – partì proprio dall’intuizione di Antonio Carpenè che era un chimico, un enologo, un tecnico, un vero e proprio scienziato, che insieme ad altre menti illuminate del tempo, penso a personaggi illustri come Louis Pasteur, Köch e Von Liebig, gettò le basi della moderna enologia. Antonio Carpenè applicò i propri studi scientifici alla viticoltura delle colline trevigiane, contribuendo a far nascere lo spumante più bevuto in questo momento al mondo: il Prosecco”.
Compresa la centrale importanza dei contadini nella cura del territorio, che ai suoi tempi versava in parte in stato di abbandono, Antonio Carpenè comprese che il futuro delle Colline risiedeva nella diffusione della scienza enologica. “Carpenè – spiega il direttore generale della cantina – otto anni dopo la fondazione della cantina, avvenuta nel 1868, si premurò nel fondare la prima scuola enologica in Italia, nel 1876, in cui si cominciò a diffondere quella che è stata poi riconosciuta come la cultura viticola ed enologica dell’Europa di oggi. È proprio grazie al suo impregno imprenditoriale e culturale che oggi possiamo godere di un’economia così fiorente”.
Il frutto dell’approccio scientifico alla viticoltura di Antonio Carpenè è ben rappresentato dall’ampelografia, una pietra miliare della storia enologica delle Colline, che egli effettuò assieme a Luigi Luzzati.
“Attraverso la ‘zonazione’ dei vitigni delle colline trevigiane, realizzata insieme ad un altro illustre del tempo come Luzzati (fondatore nel 1968 della Scuola di Commercio, oggi Università Ca’ Foscari), Carpenè mappò questo territorio, facendone una prima ampelografia raccolta in un gigantesco tomo pubblicato nel 1870. Carpenè e Luzzati passarono a rassegna tutto il territorio trevigiano che a metà dell’Ottocento contava ufficialmente soltanto un ettaro piantato a vite, almeno da quanto risulta dai registri ufficiali della provincia di Treviso, mentre oggi sono circa 9000 gli ettari coltivati a vite solo nell’area dove si produce il Prosecco Superiore. Carpenè intuì che queste terre dal punto di vista ambientale e climatico erano adatte per far germogliare i frutti della Glera da destinare poi alla produzione di un vino spumante che oggi chiamiamo Prosecco”. Lo stesso vino che nel 1873 all’Expo di Vienna fece il suo esordio a livello internazionale.
Otto anni dopo la fondazione della “Società Enologica Trevigiana”, l’attuale cantina Carpenè-Malvolti, Antonio Carpenè fece una scelta controcorrente fondando la prima scuola enologica d’Italia dove insegnare ai giovani quel metodo di spumantizzazione messo a punto in oltre un decennio di sperimentazione e considerato il più adatto per valorizzare le uve di Prosecco.
“Il 1876, anno di fondazione della scuola, fu un anno cruciale. L’allora governo Depretis aveva soppresso il ministero dell’Agricoltura – prosegue Scimone. Ciononostante Antonio Carpenè andò contro questa decisione e fece di tutto insieme ad altri illustri personaggi del tempo, uno fra tutti il primo direttore della Scuola Giovanni Battista Cerletti, per dare vita all’istituto di Conegliano. Questa scuola oggi è il fulcro della cultura viticola ed enologica del territorio, che oltre a formare circa 2000 studenti ogni anno, ha attirato a Conegliano anche l’Università di Padova che ha stabilito una propria sede qui, contribuendo a coltivare l’interesse per l’enologia nelle nuove generazioni”.
“Prescindendo da ogni logica autoreferenziale, sia la cantina Carpenè-Malvolti sia la scuola di Conegliano hanno dato e continuano a dare ancora oggi un contributo inestimabile a tutto il territorio che oggi può fregiarsi del riconoscimento Unesco. Dalla scuola di Conegliano prende origine tra l’altro il primo premio di laurea voluto nel 1902 da Etile Carpenè, che alla morte del padre Antonio istituì la prima medaglia d’oro a nome del padre da consegnare ogni anno allo studente migliore. Nel tempo abbiamo istituito ulteriori quattro premi internazionali che si svolgono ogni anno – conclude Scimone – . Noi li definiamo i nostri ‘cerchi olimpici‘, pensati per stimolare la ricerca, la conoscenza e lo studio e premiare chi si è distinto non solo nella diffusione della cultura enologica, ma più in generale nella diffusione della cultura italiana nel mondo”.
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