L’incredibile storia della “strada dei 100 giorni”; da Tovena a Trichiana attraverso la più ardita opera ingegneristica della Grande Guerra

La Grande Guerra la si può raccontare anche così, attraverso la storia di una strada che si è meritata l’appellativo di “strada dei 100 giorni”. Da sempre i conflitti bellici hanno dato un’accelerata alla modernizzazione, ponendo scienza, tecnica ed ingegneria al servizio degli eserciti.

Così è potuto capitare che, per alimentare il fronte sul Piave in previsione della grande offensiva del giugno 1918 passata alla storia come “la Battaglia del Solstizio”, il genio militare austriaco, con l’impiego di 7 mila uomini, in solo 100 giorni, sia riuscito a ricavare una strada con ben 5 gallerie scavate sulla roccia. Anche nel 2018, con la tecnologia di cui possiamo disporre sarebbe un’impresa ardita.

Il passo del San Boldo che dall’abitato di Tovena siamo abituati a raggiungere facilmente in auto in una ventina di minuti, è sempre stato un punto di passaggio nevralgico, attraversato per secoli, da viandanti, zattieri, mercanti, e contadini. Ma non solo. Anche i pastori con i loro greggi e tante tante mercanzie di ogni tipo, trasportate con ogni mezzo, passavano per il valico del San Boldo. Chi dalla montagna aveva necessità di raggiungere la pianura o viceversa era costretto ad un percorso molto difficile ed insidioso, che al contrario dei giorni nostri, richiedeva parecchio tempo, visto che l’ultimo tratto era una mulattiera con tanto di gradini di travi sulla roccia. Trovare un sistema per rendere più veloce e sicuro il raggiungimento del San Boldo era un’esigenza molto sentita che partiva da lontano nei secoli.

I primi lavori per realizzare una strada che, partendo da nord dell’abitato di Tovena portasse al San Boldo, cominciarono già nel 1914, su un progetto di un primo stralcio dell’ing. Giuseppe Carpené di Conegliano approvato dal Consiglio Comunale di Cison di Valmarino, anche per dare una risposta in termini di posti di lavoro all’enorme disoccupazione di quegli anni legata al rientro degli emigranti.  Le imprese Magagnin Adolfo e De Bortoli Giovanni di Cison lavorarono alacremente tanto che ad inizio del 1916 il direttore dei lavori comunicava la quasi completa esecuzione dei lavori appaltati. Questo permetteva di procedere alla realizzazione del secondo stralcio, sempre su progetto dell’Ing. Carpené che contemporaneamente avrebbe predisposto un progetto per un terzo ed ultimo stralcio, per il tratto dal Cristo fino ai confini con i comuni del bellunese.

I lavori però si bloccarono all’inizio dello “Scalón del S. Boldo”, davanti ad un muro di rocce a strapiombo che allora parve invalicabile anche all’intendenza del Genio Civile aggregata alla IV armata, che decise di lasciar perdere l’opera. Ma la guerra che tutto distrugge, questa volta fu alla base del coronamento di quello che a tutti pareva un sogno irrealizzabile; una via che collegasse il bellunese al trevigiano attraverso il San Boldo. Fu l’esercito austroungarico a realizzare quest’opera desiderata da secoli nel 1918 e, udite udite, in soli 100 giorni.

Il Regio Imperiale Esercito che dalla disfatta italiana di Caporetto del 24 ottobre del 1917 occupava questo lembo di Veneto, ritenne il valico del San Boldo strategico in quanto permetteva un rapido collegamento fra il Comando della VI armata con sede a Vittorio e il fronte del Grappa e del Piave. Ma la mulattiera che univa Tovena a Trichiana, soprattutto nel suo ultimo tratto era impraticabile e andava rifatta. La VI armata dispose la costruzione della strada nel gennaio 1918. Con la fine del mese venne designato responsabile dell’opera il tenente colonnello Nikolaus Waldmann (Ingegnere e comandante del gruppo costruzione strade della VI armata austroungarica) coadiuvato dal tenente Hans Fritz. I lavori terminarono, con l’ultimo ordine di Waldmann e la cessazione del suo incarico, il giorno 10 giugno dello stesso anno.

Gli austriaci riuscirono nell’impresa impiegando in totale 7mila operai, in gran parte soldati austroungarici, prigionieri italiani, russi e bosniaci e con l’apporto fondamentale della popolazione locale. Si perché furono reclutati anziani, donne e bambini di Tovena e dintorni, con tanto di paga giornaliera dignitosa e con  l’aggiunta di un pasto. Fu addirittura istituito un premio in denaro per l’applicazione e l’impegno dimostrati nel lavoro di costruzione della Tovena-Trichiana–Strasse e nelle liste dei premiati comparvero nomi di civili di chiara provenienza di Tovena e dei paesi limitrofi.

Alla fine di gennaio del ’18, gli ingegneri austriaci definirono gli elaborati per la realizzazione dell’opera.  L’inizio però fu lento e i progressi modesti, sia per scarsità di operai (inizialmente furono impiegate soltanto 350 unità militari) che per la carenza degli strumenti tecnici necessari. Basti pensare che al posto del cemento che mancava, venivano utilizzati supporti e strutture in legno e i muri si costruivano a secco.  Scalpellini bosniaci vennero adibiti a questa mansione. Venne utilizzata un’unica perforatrice a motore lasciando il resto del lavoro alle nude mani, allo scalpello e alle mine. Per completare il solo muro del primo tunnel alto 6 metri, lavorarono ben 30 scalpellini per 21 giorni.

La scossa però arrivò verso fine mese. Ci furono enormi cambiamenti: il personale aumentò in modo esponenziale, arrivando a 7mila operai, furono coinvolti tutti quelli che non erano al fronte e potevano lavorare. Esisteva un’unica soluzione praticabile in tempi stretti: ricavare uno sviluppo totale di almeno 800 metri negli ultimi 100 metri di dislivello, per ottenere una pendenza del 10% scavando nella roccia. Il progetto iniziale prevedeva 6 tornanti in galleria con un raggio di 10 metri per i grossi traini di artiglieria. In corso d’opera venne eliminata la galleria prevista tra la terza e la quarta elevando la pendenza tra i due fori di due punti percentuali. Alla fine ne venne fuori un’opera ingegneristica ardita con ben sei tornanti e cinque gallerie scavate sulla roccia, in un tratto di montagna proibitivo.

La storia volle che la strada costruita dall’Impero che voleva sottomettere l’Europa, servì alla ritirata dello stesso, sconfitto e umiliato sul Piave prima e nella Battaglia di Vittorio Veneto poi. La strada dei 100 giorni da allora è sempre lì e tranne una chiusura forzata a cavallo tra gli anni ’80 ed i primi del’90, rappresenta un collegamento vitale e un punto d’incontra tra i comuni del trevigiano e del bellunese.

Chi la attraversa in auto, in moto e ancor di più in bicicletta, ne rimane ammirato ed estasiato. I patimenti di allora sono stati goduti dai discendenti di chi li ha subiti in una staffetta generazionale. Come l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri le nostre terre e le nostre genti hanno saputo risollevarsi dalla distruzione e dalle sofferenze della Grande Guerra. La strada dei 100 giorni se vogliamo, partendo da Tovena ci porta verso l’Austria, verso i nemici di allora che oggi condividono con noi l’idea di un’Europa unita e mai più in guerra.

(Fonte: Giancarlo De Luca – Qdpnews.it).
(Ricerche storiche a cura di Chiara Rainone)
(Immagini: Si ringrazia il comune di Cison di Valmarino, il gruppo Alpini di Tovena, il sig. Herbert Thiess)

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