Gli italiani cucinano sempre meno. Garibaldi: “Patrimonio di ricette a un passo dall’oblio, l’Unesco potrebbe tutelarlo”

Un cuoco che “spadella” una pioggia di maccheroni al pomodoro e le immagini stilizzate di monumenti iconici del Bel Paese come la Torre di Pisa, il ponte di Rialto e il Colosseo. Appare così il logo realizzato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato che accompagna la candidatura della Cucina italiana alla Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità annunciata nel marzo scorso dai ministri Francesco Lollobrigida e Gennaro Sangiuliano. L’esito della procedura di valutazione dovrebbe arrivare entro la fine del 2025.

La candidatura intende valorizzare e porre sotto tutela quel patrimonio di pratiche sociali, abitudini e gestualità che contribuiscono all’unicità della cucina italiana, un marchio riconosciuto a livello internazionale il cui valore va ben oltre il solo concetto di cibo.

Qual è il possibile impatto del riconoscimento Unesco alla cucina italiana? Come spiega Roberta Garibaldipresidente dell’associazione italiana turismo enogastronomico e vicepresidente del Comitato Turismo Ocse, fra i relatori intervenuti lunedì scorso al primo Forum sul turismo sostenibile a Cison di Valmarino, un esito positivo della candidatura non è auspicabile solo per aumentare la popolarità del binomio Italia – buon cibo.

“L’enogastronomia è una forte leva di attrazione turistica verso il nostro Paese e gode già di una visibilità importante a livello internazionale – commenta Garibaldi –. Il riconoscimento Unesco le darebbe sì un ulteriore sigillo ma, ciò che è più importante, le darebbe un impulso a preservarne la ricchezza. Credo che l’aspetto legato alla tutela della cucina italiana possa essere il vero valore aggiunto di questa candidatura”.

“Gli italiani stanno via via smettendo di cucinare – sottolinea – Oggi il tempo passato in cucina è in media di circa un’ora al giorno, un dato estremamente basso se pensiamo alle nostre mamme e nonne, come la mia che ogni mattina faceva pasta e pane fresco. È vero che il contesto sociale in cui vivevano era profondamente diverso da quello di oggi, ma non va trascurato il fatto che cucinando sempre meno rischiamo la perdita di un patrimonio di ricette che un tempo si tramandavano da una generazione all’altra”.

“Io sono di Bergamo e ricordo che un tempo ogni famiglia vantava la propria ricetta dei ‘casoncelli’ (ricetta la cui paternità è da sempre contesa con Brescia) – prosegue Garibaldi attingendo dalla propria esperienza personale -; oggi è rimasta solo una ricetta, quella del raviolificio, dove la pasta si compra già pronta”.

“Negli anni sono stati fatti lavori importanti sul tema dei prodotti, pensiamo ad esempio a quanto fatto da Slow Food – precisa –. Penso che andrebbe rivolta la stessa attenzione anche alle ricette al fine di preservare un tesoro ricco e vario che contraddistingue la nostra cucina e che ora è a rischio. Oggi non solo si cucina sempre meno, le app di delivery spopolano e così una proposta culinaria sempre più internazionale a scapito di quella del territorio. Il riconoscimento Unesco stimolerebbe delle riflessioni importanti anche su questo argomento che si potrebbero proporre anche nelle scuole come già avvenuto in altri Paesi. Penso che una candidatura ‘a cappello’ della cucina italiana potrebbe essere un primo grande passo verso un percorso di tutela che vada di pari passo con il fare cultura e divulgazione, con un occhio di riguardo particolare verso le nuove generazioni”.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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