Non solo qualità, per l’esperto di viticoltura Angelo Costacurta, l’unicità dal punto di vista enologico del Veneto, e in modo particolare del Trevigiano, sta proprio nella varietà dei suoi vitigni.
Reduce dalla sua recente pubblicazione dedicata ai vini “proibiti”, Costacurta pone l’accento sulle varietà che da secoli popolano la Marca trevigiana distinguendo fra quelle coltivate ancora oggi, seppur in misura minore, e quelle scomparse (quasi) del tutto.
Per raccontare questa affascinante pagina di storia del territorio l’autore di “Vini proibiti” ci porta a Cappella Maggiore, ai piedi di un vigneto di Boschera. “Il Boschera è una varietà misteriosa – spiega – perché almeno fino al 1870, quando venne realizzata una prima catalogazione delle viti della provincia di Treviso, non ne riscontriamo tracce scritte”.
“Tuttavia – prosegue l’enologo – stando all’analisi molecolare probabilmente il Boschera era già presente, se non nel Trevigiano, almeno sulle colline del Veneto, fin dai tempi dei Romani perché avrebbe un genitore in comune con il Prosecco, con la Molinara veronese e con l’Aghedene friulana, tutte varietà generatesi con tutta probabilità in epoca romana, quando sarebbe nata anche la Boschera, un vitigno rimasto nascosto nei secoli per motivazioni che sono soggette a diverse ipotesi”.
Quando il Prosecco non era in auge si coltivava Verdiso, Bianchetta e Pignolo
Ma il Boschera, noto per essere un componente del Torchiato di Fregona Docg, è solo una delle molte varietà autoctone che possono essere definite “storiche”.
“Anche il Prosecco, che io continuo a chiamare così, come si è sempre fatto, è storico – spiega Angelo Costacurta – . Ma possiamo citare anche il Verdiso, e poi altri vitigni come la Bianchetta (Trevigiana ndr) che era considerata di grande pregio, così come il Pignolo, sinonimo un tempo di grande qualità ormai scomparso del tutto. Al contrario la Bianchetta è stata recuperata anche se al momento non mi risulta ci siano impianti significativi di questo vitigno”.
“È da considerarsi vitigno storico anche la Marzemina bianca, presente nel nostro territorio da tempi non ben definibili. I riferimenti sui nomi delle varietà sono molto recenti: una volta, più che al tipo di vitigno, si dava importanza all’ambiente quale elemento che, secondo gli esperti, influiva sulla qualità del vino”.
“Già verso la fine del ‘600 l’Agostinonetti, un fattore di Cimadolmo, scrisse il libro ‘Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa’ in cui racconta quanto fossero delizioni ‘i nostri bianchetti, marzemimi e pignoli’. Queste varietà sono state coltivate fino ai primi anni del Novecento. Il più popolare in queste zone era il Verdiso, poi venivano la Bianchetta, il Pignolo e il Boschera. Il Prosecco, non ancora in auge come oggi, veniva coltivato su una superficie che equivaleva a circa un decimo rispetto a quella coltivata a Verdiso”.
“Ora viene da chiedersi perché queste varietà man mano siano state messe da parte. Sul Boschera ad esempio, va fatta una riflessione sulle sue caratteristiche. Questo vitigno ha dei pregi, ma anche tanti difetti e non è un caso dunque che sia rimasta anche abbastanza nascosta. I suoi ‘difetti’ riguardato la vite che crea una sorta di bosco, come dice bene anche il nome, e i grappoli, inglobati nei cespugli, non sono ben visibili. A livello enologico ha dei pregi che vengono valorizzati quando la Boschera viene appassita: la sua predisposizione all’appassimento è straordinaria. Non sorprende che le sue uve costituiscano una componente fondamentale del tipico Torchiato di Fregona, a cui conferisce quelle particolari note acidule e amarognole”.
Un patrimonio genetico prezioso che va tutelato
“Questi vitigni hanno un ruolo fondamentale nell’enologia italiana – sottolinea l’esperto – ci proteggono dall’omogenizzazione della viticoltura che ci metterebbe a confronto con delle nazioni che sono molto più attrezzate di noi a fare certi vini, pensiamo al Sauvignon in Nuova Zelanda”.
“La forza dell’Italia sta proprio nella varietà che potrebbe essere messa in discussione se si iniziasse ad introdurre vitigni nuovi in nome di prestazioni superiori. Il mondo della ricerca – spiega Costacurta – sta lavorando proprio per creare nuove varietà e questo va bene, a patto che non si perda del germoplasma antico che ha una composizione selezionatasi nei secoli”.
“La combinazione genetica che hanno i vitigni storici è il frutto di una selezione operata dall’agricoltore durata per centinaia e qualche volta addirittura migliaia di anni ed è dunque, nel bene e nel male, unica e irripetibile“.
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