Nuovi prodotti, alta tecnologia e attenzione alla sostenibilità: sono questi i pilastri della “nuova” Ceramica Dolomite che, scongiurato la chiusura definitiva, ora guarda al futuro con nuovo slancio.
Era il 2021 quando la multinazionale American Standard Companies (Ideal Standard), in seguito alla crisi globale, annunciò la chiusura dell’azienda di Trichiana, dal 1999 punto di riferimento nel gruppo americano per la lavorazione di sanitari in ceramica.
Con lo scopo di salvaguardare il marchio, le competenze e i 440 posti di lavoro a rischio, una cordata di quattro imprenditori, Enrico Marchi (Finint), Leonardo del Vecchio (Delfin), Luigi Rossi Luciani con l’omonima holding e Bruno Zago (Za-Fin) assieme ad Invitalia con il Fondo di Salvaguardia, hanno unito le forze per rilevare Ceramica Dolomite riportandola ad essere il player di riferimento della ceramica sanitaria di design Made in Italy.
Nata nel 1965 con il sostegno degli aiuti di Stato che arrivarono dopo la tragedia del Vajont, Ceramica Dolomite si è guadagnata nei decenni un ruolo di primo piano nel mercato, forte della collaborazione con designer del calibro di Renzo Piano, e di una spinta innovativa (rivoluzionaria negli anni ’80 l’introduzione del primo lavabo d’arredo a semincasso) imprescindibile dal tocco artigianale che le ha permesso di distinguersi a livello internazionale. Dal 2 novembre 2022 l’ingegner Stefano Mele è il nuovo amministratore delegato dell’azienda.
“Ci siamo lasciati alle spalle un momento altamente critico – commenta Mele – La priorità era mettere in sicurezza un ‘saper fare’ tramandato da generazioni, dandogli nuovo slancio. Ma salvare e rilanciare Ceramica Dolomite vuol dire soprattutto guardare al futuro: fin dall’inizio abbiamo deciso di sviluppare delle nuove collezioni, realizzate con Nilo Gioacchini, profondo conoscitore del settore, e in pochissimo tempo le abbiamo immesse sul mercato. A settembre inoltre saremo presenti al Cersaie di Bologna, la prima fiera in cui Ceramica Dolomite si presenterà ufficialmente al pubblico dopo il rilancio. In un anno abbiamo raggiunto molti risultati, ma ce ne sono ancora tanti altri da portare a casa. Il mercato in questo momento non ci sta aiutando, visto il generale rallentamento dell’economia seguìto dall’aumento dei tassi di interesse e dalla chiusura del superbonus 110. Noi però andiamo avanti e continuiamo i nostri investimenti per riprenderci la posizione che Ceramica Dolomite aveva in passato”.
Partendo dalla materia prima, come si svolge il processo produttivo?
“La ceramica è un prodotto a base di terra, e con terra s’intende argilla, caolino e feldspato, le cui caratteristiche variano in base al luogo di estrazione, da qui un rigido controllo della qualità dei materiali in ingresso. Alla materia prima si aggiunge l’acqua per creare un impasto che coliamo in una serie di forme. Da queste prende vita il sanitario che poi viene gradualmente essiccato, smaltato e infine cotto ai 1200 gradi”.
Ceramica Dolomite punta sulla sostenibilità, in termini di risparmio energetico, quali le buone pratiche introdotte?
“Ceramica Dolomite produce sanitari utilizzando, per cuocerli, gas a 1200 gradi. Si può dunque comprendere quanto il tema del risparmio energetico sia centrale per l’azienda. È in quest’ottica che si lavora ad una continua ottimizzazione degli impianti e ad una costante ricerca per ridurre le perdite di calore. Ma ragionare sul risparmio vuol dire anche pensare all’utilizzo finale dei nostri sanitari, diminuendo ad esempio il consumo idrico. Invece dei quattro litri e mezzo d’acqua che vengono utilizzati nello scarico normale, i nostri water sono pensati per utilizzarne tre litri, o anche meno. Questo risparmio è fondamentale se moltiplicato per i milioni di abitanti”.
Come riutilizzate i materiali di scarto?
“Durante il processo produttivo ci possono essere degli scarti di lavorazioni che non hanno dato la qualità attesa. Senza squilibrare il meccanismo, parte della materia prima viene reintrodotta nel processo, diminuendo così l’impatto finale del prodotto in termini di consumo della terra. Non è un’operazione facile, il recupero richiede alcuni trattamenti, ma è necessaria per ridurre l’impatto ambientale”.
Nel processo produttivo, che peso ha la componente tecnologica e quanto conta invece quella artigianale?
“Fare sanitari ceramici è qualcosa di sorprendente: la parte industriale è importante, e anche quest’anno stiamo investendo diversi milioni di euro in nuovi macchinari per la colatura ad alta pressione. Fino a dove è possibile il processo è automatizzato, per il resto il lavoro è fatto dalle mani dell’uomo e della donna che intervengono in modo sostanziale: ogni singolo pezzo infatti deve essere artigianalmente rivisto. Fare sanitari in ceramica è uno splendido connubio tra la parte più prettamente industriale e quella artigianale che si basa su un bagaglio di saperi che viene tramandato ormai da più di cinquant’anni, da una generazione all’altra. Custodire questi saperi e coniugarli con tecnologie innovative è uno degli aspetti fondamentali della rinascita del marchio”.
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