Alla scoperta delle Maschere Dolomitiche: arte e storia di una tradizione popolare

Il Museo Maschere Dolomitiche di Gianluigi Secco ha sede nello storico Palazzo Secco, risalente al Quattrocento. L’edificio, abitato dalla famiglia Secco per quasi un secolo, è oggi un polo culturale di riferimento per le mascherate dolomitiche.

La collezione del museo nasce negli anni ’80 da un’idea di Gianluigi Secco, insieme a un gruppo di amici e artisti. Comprende manichini realizzati a mano e 56 volti lignei, esposti lungo una scala originale dell’edificio per creare un effetto scenografico di colore e movimento. A completare l’esposizione, quadri e tavole di diversi artisti raccontano il significato delle maschere e dei riti a esse legati.

“L’intenzione iniziale era portare in giro per l’Italia e l’Europa le mascherate arcaiche delle Dolomiti Bellunesi. Non si trattava solo di una festa di piazza, ma di un antico rito pagano, poi inglobato nel Carnevale con l’avvento del Cristianesimo” – spiega Antonio Gheno, presidente dell’associazione Borgo Piave.

Le mascherate erano riti benauguranti per l’arrivo della primavera e dell’estate. Per le comunità montane, rappresentavano la speranza di poter tornare al pascolo e lavorare nei campi, garantendosi così il cibo per l’inverno successivo.

Per lungo tempo, i manichini sono rimasti in deposito, fino a quando i volontari del team restauro dell’associazione hanno deciso di riportarli in vita, preservando lo spirito originario del progetto di Gianluigi Secco.

All’ingresso del museo si trovano i manichini del Comelico Superiore, che raffigurano due figure contrapposte: i Matazin, le maschere belle, e le Matazere. 

I Matazin indossano foulard di seta e fastosi gioielli. Secondo la tradizione, più gioielli e foulard venivano prestati dalle donne del paese alla maschera, più si aspettava un raccolto abbondante. Alcuni Matazin portano specchi per riflettere il maligno e fiori di stoffa o cartapesta, simbolo dell’arrivo della primavera. Le Matazere, invece, vestono foulard di lana e pezzi di tessuto di recupero, come cravatte dismesse al posto dei nastri. Al posto dello scettro portano una palla, un tempo usata per tostare caffè o orzo. I loro abiti sono decorati con bottoni e scampoli di stoffa, materiali legati alla vita quotidiana.

Un ruolo fondamentale nel corteo è affidato ai pagliacci, che aprono la sfilata creando uno spazio vuoto in piazza. È qui che i Matazin e le Matazere danzano la polka “La Vecia dal Matazin”, accompagnati dalla musica dal vivo. Il ballo si conclude con un salto benaugurante, mentre i Matazin, figure rituali, offrono al pubblico dei confetti. Secondo la tradizione, accettarli porta fortuna.

(Autore: Matteo De Noni)
(Foto e video: Matteo De Noni)
(Articolo, foto e video di proprietà di Dplay Srl)
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