Il dilemma delle foreste europee
Le foreste europee si trovano oggi al centro di un dilemma complesso. Da un lato, cresce inesorabilmente la domanda di legname, con previsioni di un aumento del 54% nel consumo mondiale entro il 2050. Dall’altro, si fa sempre più urgente la necessità di preservare la biodiversità forestale, minacciata da decenni di gestione intensiva. In questo contesto si inserisce lo studio “Can triad forestry reconcile Europe’s biodiversity and forestry strategies?“, un’analisi critica che esplora come un sistema di gestione forestale a tre livelli potrebbe offrire una soluzione a questo apparente conflitto.
Le Strategie dell’Unione Europea sulla Biodiversità e sulle Foreste per il 2030 hanno tentato di affrontare questa sfida. La prima prevede la protezione rigorosa del 10% del territorio terrestre, includendo tutte le foreste primarie e vetuste rimanenti. La seconda promuove l’uso di una gestione forestale integrata che soddisfi contemporaneamente funzioni ecologiche e produttive, privilegiando foreste disetanee, a copertura continua, con miscele diverse di specie arboree. Tuttavia, queste strategie offrono poche indicazioni concrete su come conciliare questi obiettivi apparentemente contrastanti.
I tre volti della foresta: un approccio triad alla gestione
Il sistema “triad” rappresenta un tentativo di rispondere a questa sfida attraverso una zonizzazione che prevede tre distinti approcci alla gestione forestale, ciascuno con obiettivi e caratteristiche specifiche.
Il primo pilastro è costituito dalle riserve rigorosamente protette, aree forestali completamente escluse dall’estrazione di legname. In queste zone, persino il taglio sanitario o di recupero dopo eventi di disturbo naturale è proibito. Qui i processi ecologici naturali possono svolgersi indisturbati, creando le condizioni ideali per le foreste primarie o vetuste. Questi ambienti sono cruciali per numerose specie che dipendono dal legno morto, dagli alberi di grandi dimensioni e dalle strutture forestali complesse. Sono i santuari della biodiversità, dove la natura detta le regole senza l’intervento umano.
Il secondo approccio è rappresentato dalle foreste gestite intensivamente, orientate principalmente alla produzione efficiente di legname. Qui gli alberi vengono generalmente piantati tutti insieme, creando popolamenti coetanei che vengono gestiti secondo cicli di rotazione predefiniti. Al termine di questi cicli, si procede con tagli estesi: dal taglio a raso alla rimozione uniforme, fino al taglio con rilascio di alcuni portasemi. Questo tipo di gestione, spesso basata su monocolture o piantagioni con poche specie, massimizza la produzione di legname a scapito della biodiversità. È l’approccio più industriale, dove l’efficienza produttiva è la priorità.
Il terzo elemento del triad è costituito dalle foreste gestite estensivamente, che rappresentano un compromesso tra produzione e conservazione. In queste aree, la foresta mantiene alberi di diverse età e una copertura arborea continua, senza mai subire tagli completi. Il prelievo avviene selettivamente, rimuovendo singoli alberi o piccoli gruppi attraverso metodi come la selezione individuale, la selezione a gruppi o il taglio a scelta irregolare. Questo approccio favorisce una struttura forestale più naturale e diversificata, preservando elementi importanti per la biodiversità come alberi habitat e legno morto. È il modello più vicino alla natura promosso dalla Strategia Forestale dell’UE, un tentativo di coniugare le esigenze produttive con quelle conservative.
La realtà delle foreste europee: un quadro preoccupante
L’analisi condotta dai ricercatori, basata su un nuovo database delle riserve forestali rigidamente protette in 27 paesi europei e sui dati relativi ai sistemi selvicolturali utilizzati, rivela uno scenario ben lontano dall’equilibrio del sistema triad. La zonizzazione forestale europea risulta infatti fortemente sbilanciata verso la produzione di legname, con pochissime aree destinate alla protezione rigorosa.
Solo il 3,6% delle foreste europee gode di protezione rigorosa, e la maggior parte dei paesi ne protegge meno del 2%. Ancora più allarmante è la constatazione che la stragrande maggioranza di queste riserve è di dimensioni estremamente ridotte: il 73% è inferiore a 50 ettari e oltre la metà non supera i 20 ettari. Una frammentazione che compromette seriamente la loro efficacia ecologica.
Questa situazione è particolarmente problematica alla luce delle conoscenze attuali sulla dinamica forestale. Per decenni, la protezione forestale si è basata su una comprensione ormai superata dei processi ecologici, secondo cui lo sviluppo forestale sarebbe regolato principalmente dalla mortalità continua e diffusa di singoli alberi o piccoli gruppi. Tuttavia, la ricerca in ecologia dei disturbi ha dimostrato che eventi come tempeste, incendi e infestazioni di insetti non sono anomalie da evitare, ma parte integrante della dinamica naturale delle foreste.
Questi disturbi interrompono periodicamente i processi continui, creando mosaici di mortalità eterogenei nei paesaggi forestali. Le eredità di questi eventi – alberi in piedi, spezzati o sradicati, grandi quantità di legno morto esposto al sole, vegetazione in fase precoce di sviluppo – costituiscono habitat chiave per molte specie. Per catturare questi “regimi di disturbo naturale” sono necessarie aree protette di grandi dimensioni, quella che gli ecologi chiamano “area dinamica minima”, definita come la superficie minima con un regime di disturbo naturale che mantenga fonti interne di ricolonizzazione e minimizzi le estinzioni locali.
Studi condotti negli ecosistemi forestali boreali suggeriscono che questa area minima dovrebbe superare i 5.000 ettari, una dimensione ben lontana dalla media delle riserve europee attuali. Le piccole riserve frammentate che dominano il panorama conservazionistico europeo sono semplicemente inadeguate per mantenere i complessi processi ecologici che supportano la biodiversità forestale.
Verso un nuovo equilibrio: proposte per un futuro sostenibile
I ricercatori suggeriscono che un approccio triad bilanciato potrebbe riconciliare meglio la produzione di legname con la conservazione della biodiversità rispetto all’attuale sistema europeo. Per realizzare questa visione, propongono diverse raccomandazioni per la ricerca e le politiche future.
In primo luogo, la protezione rigorosa del 10% del territorio richiesta dalla Strategia UE sulla Biodiversità dovrebbe includere una quota significativa di area forestale, idealmente almeno il 10% della superficie forestale totale. Questo obiettivo appare ambizioso ma necessario, considerando che le foreste rappresentano l’ecosistema naturale dominante in gran parte d’Europa in assenza di gestione.
In secondo luogo, occorre ripensare la strategia di conservazione. Oltre alle numerose piccole riserve forestali che proteggono habitat e specie specifiche, sono necessarie anche riserve più grandi in grado di catturare i regimi di disturbo naturale. La creazione di alcuni paesaggi forestali di vaste dimensioni sotto protezione rigorosa dovrebbe diventare una priorità nelle strategie di conservazione europee.
Parallelamente, le politiche volte a migliorare e ampliare la gestione estensiva dovrebbero seguire linee guida di silvicoltura ecologica basate su studi approfonditi dei regimi di disturbo naturale e sui valori target per la conservazione di strutture forestali chiave, come densità minima di alberi habitat e volume di legno morto. La silvicoltura ecologica non può essere improvvisata, ma deve fondarsi su solide basi scientifiche.
Un aspetto cruciale riguarda il bilanciamento ottimale tra i tre approcci. È necessaria ulteriore ricerca per quantificare le proporzioni ideali, la scala e la configurazione spaziale delle aree sotto i diversi compartimenti triad nei vari sistemi socio-ecologici europei. Questo equilibrio non può essere universale, ma deve adattarsi alle specificità ecologiche, sociali ed economiche delle diverse regioni.
Infine, non si può ignorare la realtà della proprietà forestale europea, caratterizzata da un’alta percentuale di proprietà privata non industriale, spesso frammentata in piccoli appezzamenti. Questa frammentazione crea sia sfide che opportunità per l’implementazione di trattamenti triad su larga scala. Le politiche dovrebbero creare nuovi incentivi per incoraggiare i proprietari a gestire regolarmente le foreste e contribuire alla produzione di legname, o alternativamente a designare foreste con caratteristiche di crescita vetusta come riserve rigorose.
Un futuro possibile per le foreste europee
L’implementazione della silvicoltura triad in Europa affronta indubbiamente sfide significative, ma potrebbe fornire un quadro efficace per soddisfare la crescente domanda di legname mantenendo habitat adeguati per la biodiversità forestale. Non si tratta solo di preservare specie, ma di garantire la funzionalità degli ecosistemi forestali europei.
L’approccio triad potrebbe inoltre adattarsi ad altre funzioni forestali, incluse le strategie di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici. Recenti ricerche hanno dimostrato l’alta capacità di immagazzinamento di carbonio nelle foreste vetuste e primarie europee, evidenziando un doppio beneficio: la protezione rigorosa contribuirebbe simultaneamente alla conservazione della biodiversità e alla mitigazione climatica.
Le zone di produzione intensiva, d’altro canto, offrono un elevato potenziale di adattamento, poiché i gestori forestali possono adeguare i regimi selvicolturali e la composizione delle specie arboree verso specie più adatte alle condizioni future. È un equilibrio dinamico che potrebbe evolvere nel tempo in risposta ai cambiamenti ambientali.
Sebbene l’implementazione del sistema triad in Europa presenti sfide considerevoli, non è un compito insormontabile. Richiede però un cambio di paradigma nella gestione forestale, abbandonando l’attuale approccio frammentato e sbilanciato verso la produzione in favore di una pianificazione integrata a scala paesaggistica. Solo così le foreste europee potranno continuare a fornire i molteplici servizi da cui dipende il nostro benessere, dalle materie prime alla regolazione climatica, dalla purificazione dell’acqua alla conservazione della biodiversità.
(Autore: Paola Peresin)
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