Le specificità della Lingua dei Segni, l’importanza di usare una terminologia corretta quando si tratta questa tematica e, infine, il come e dove si può imparare ad utilizzare la LIS. Un incontro dimostrativo per sfatare alcuni luoghi comuni sulle persone sorde, favorendo l’inclusione.
Abbiamo intervistato Chiara Sipione, interprete LIS e presidente di Anios Veneto, che, coadiuvata dalla collega interprete Laura Fedeli, ci ha raccontato un po’ meglio questo mondo. Lei che, tra l’altro, essendo figlia di genitori sordi, è anche madrelingua LIS. E che più di qualcuno ricorderà protagonista, proprio come traduttrice, nelle conferenze stampa del presidente Zaia durante il periodo Covid.
Chiara, ci può spiegare meglio cos’è la LIS?
“Sì, io sono un’interprete di lingua dei segni e faccio parte di un’associazione di categoria che è Anios, associazione nazionale di interpreti di lingua dei segni, quindi sono un’interprete ai sensi della legge 4/2013. La LIS è la lingua dei segni italiana ed è la lingua che viene utilizzata maggiormente dalle persone sorde, ma non solo. È una lingua che può colpire molto perché utilizza un altro canale che non è quello acustico-verbale, ma è quello visivo-gestuale, quindi usiamo le mani per comunicare e gli occhi per ascoltare”.
Ci può spiegare l’importanza di utilizzare una terminologia corretta?
“Utilizzare una terminologia corretta è molto importante per dare valore a quello a cui ci stiamo riferendo. Inoltre, utilizzare una terminologia corretta permette la formazione di un pensiero corretto e di conseguenza di un agire corretto. Ad esempio spesso si pensa che LIS sia l’acronimo di Lingua Italiana dei Segni, invece non è così. Il termine corretto è Lingua dei segni italiana. Può sembrare un errore da poco, ma riferirsi alla LIS con il primo termine vorrebbe dire che intendiamo che la LIS sia la lingua italiana messa in segni, invece la grammatica della lingua dei segni non si basa sulla grammatica dell’italiano ma ha una propria grammatica che tocca tutte le aree della linguistica. E in questo caso dobbiamo parlare di lingua dei segni che viene utilizzata in Italia, perché la lingua dei segni non è universale, ogni Stato ha la sua lingua dei segni e quindi esistono tante lingue dei segni, quanti sono gli Stati, per questo è corretto dire lingua dei segni utilizzata in Italia, quindi lingua dei segni italiana”.


“Per farvi un esempio più concreto, l’italiano ha una struttura grammaticale che segue un ordine frasale di soggetto, verbo e oggetto, quindi una frase in italiano corretta è ‘io vado a casa’. Non posso pronunciare diversamente questa frase, perché se io dicessi ‘vado casa io’, sarebbe semanticamente corretta, ma sintatticamente, come frase, sarebbe sgrammaticata. La lingua dei segni, come detto, ha una sua grammatica e non è quella dell’italiano, la lingua dei segni infatti è una lingua che si definisce ‘a verbo finale’, quindi la frase è soggetto, oggetto, verbo. Un altro errore terminologico è quando si parla di lingua dei segni come ‘linguaggio’. E’ molto importante differenziare i termini lingua e linguaggio: non ci immagineremmo mai di definire la lingua italiana un ‘linguaggio italiano’, ma la definiamo lingua. Una lingua fatta di regole, che noi sappiamo utilizzare quando ne usiamo correttamente le regole grammaticali. Quindi è importante definire linguaggio qualsiasi cosa che non sia lingua, ad esempio il linguaggio del corpo, il linguaggio sportivo, un linguaggio medico. Ma si può definire una lingua, con una sua grammatica, un linguaggio”.
“Un altro termine non corretto, spesso utilizzato, è quando si parla dei segni come gesti. I gesti non appartengono alla lingua dei segni, ma alla lingua vocale e quindi accompagnano il nostro enunciato. Ma i gesti noi non li possiamo scomporre in unità più piccole. Vi faccio un esempio: le parole in italiano possiamo scomporle in unità più piccole dette fonemi; allo stesso modo i segni possono essere scomposti in unità più piccole dette cheremi. Quando io eseguo i 4 parametri fondamentali della lingua dei segni, simultaneamente io produco un segno, quindi il termine corretto è segni e non gesti. Questa è, più o meno, la terminologia corretta che si dovrebbe utilizzare, quindi in lingua dei segni italiana si parla di segni e non si parla di gesti, si dice lingua e non linguaggio”.
E’ difficile imparare la LIS? Ed eventualmente, dove lo si può fare?
“La LIS possiamo dire che è ‘difficile’, nel senso che utilizza un altro canale (quello appunto visivo gestuale) e le persone si devono abituare a utilizzare questo altro canale comunicativo, ma è una lingua che si può imparare con impegno come tutte le altre lingue. Abbiamo la fortuna qui nel territorio di avere l’Università Ca’ Foscari che ci offre un percorso di laurea dove si può scegliere la lingua dei segni, un percorso triennale come per tutte le lingue vocali, quindi si può studiare all’Università oppure ci si può recare nei vari ENS, l’ente nazionale Sordi dei vari territori, dove all’interno si organizzano corsi di primo, secondo, terzo e anche forse quarto livello di lingua dei segni. Quindi il percorso da affrontare è comunque triennale, dopodiché, per diventare interpreti, è necessario frequentare un ulteriore corso di circa mille ore. Quindi è necessario avere una laurea professionalizzante in tecniche di traduzione, oppure conseguire un diploma nei centri dove da più di 10 anni organizzano corsi interpreti. Un percorso di studi sicuramente impegnativo, più breve per chi la vuole semplicemente imparare per poterla utilizzare nella quotidianità, mentre per chi invece vuole lavorare con questa lingua c’è un percorso universitario e formativo di un certo livello”.
(Autore: Alessandro Lanza)
(Foto e video: Simone Masetto e Matteo De Noni)
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