Uno scrigno d’arte e di fede, nel cuore della diocesi e della città di Vittorio Veneto. All’ultimo piano del Palazzo Brandolini nel complesso del Seminario vescovile di Vittorio Veneto, in piazza Giovanni Paolo I, è allestito il Museo diocesano d’Arte sacra “Albino Luciani”.
Al suo interno, insieme ad opere provenienti da diversi edifici sacri della diocesi, esiste anche una originale e preziosa sezione dedicata alle icone sacre, per la maggior parte “scritte” dall’iconografa Nikla Fadelli De Polo.
Ideato da monsignor Rino Bechevolo e dall’architetto Mario Cittolin, il Museo è stato inaugurato nel 1986, e poi è stato ampliato sia negli spazi espositivi sia nel numero delle opere, aprendo una seconda sezione l’8 dicembre 2002.
“Nel maggio 2022 – spiega il direttore don Mirco Miotto – il Museo diocesano d’Arte sacra si è arricchito con una nuova sezione dedicata alle icone sacre, che in realtà sono in gran parte frutto di una donazione di Nikla Fadelli De Polo, nostra iconografa diocesana”.
“All’interno del museo – prosegue – avevamo già una piccola collezione di icone sacre antiche, che sono state posizionate e arricchite dalle icone scritte appositamente da Nikla Fadelli De Polo. In questa sezione ci sono 30 icone antiche, donate nel corso degli anni, e 86 nuove icone”.
“La sezione dedicata alle icone sacre – conclude il direttore del Museo diocesano d’Arte sacra – è aperta la prima e la terza domenica del mese dalle 15 alle 18 ed è visitabile liberamente”.
Nikla Fadelli De Polo: “Nell’icona la scrittura della Parola di Dio”
L’autrice e donatrice della maggior parte delle icone sacre Nikla Fadelli De Polo abita a Vittorio Veneto, dove svolge dal 1983 la sua attività di iconografa quasi esclusivamente per chiese e comunità monastiche e religiose, attenendosi scrupolosamente alle antiche regole dell’iconografia classica, anche per quanto riguarda la scelta accurata e l’impiego dei materiali.
“Ogni volta che scrivo l’icona – esordisce Nikla Fadelli De Polo – vivo la gioia della contemplazione, il desiderio di mettermi in contemplazione del mistero di Dio che si fa presente nella nostra corporeità, nella nostra natura umana: ogni icona rappresenta la capacità di contemplare il mondo come manifestazione di Dio, della sua bellezza e del suo amore per ciascuno di noi. Ogni icona è una preghiera, che scaturisce dalla meditazione profonda del testo sacro. Infatti si dice ‘scrivere l’icona’, e non ‘dipingere’, perché scrivo, mediante i simboli, tutto quello che il testo sacro mi suggerisce alla preghiera e alla contemplazione”.
Il suo lavoro è particolarmente complesso e raffinato: “L’autore deve percorrere le tappe che ha compiuto Dio nella creazione – spiega -: si parte dal materiale concreto, la tavola di legno, che è simbolo della croce e della mensa attorno alla quale si radunava la Santa Famiglia. Poi la tavola viene ricoperta con una colla speciale di origine animale, e questa a sua volta da una tela di lino, che scaturisce da fibre vegetali, e ancora da molti strati di levkas, una polvere di alabastro impastata con colla di pelle di coniglio”.
Sono sette gli strati in totale: “È un numero simbolico che ha un’importanza rilevante anche nella costruzione delle icone – afferma – perché garantisce non solo il significato simbolico liturgico (la perfezione e la completezza ndr), ma anche la durata nel tempo dell’icona stessa”.
“A quel punto – prosegue l’iconografa – quando il levkas è consolidato sulla tavola e questa, dopo un lavoro lungo anche un mese, è lisciata perfettamente, viene inciso il disegno. Per questo si dice ‘scrivere l’icona’: l’immagine viene impressa con l’incisione ed è scrittura della Parola di Dio”.
Passaggio importante, la stesura dell’oro, che nelle parole di Fadelli De Polo è “il materiale più prezioso di cui l’iconografo dispone in natura” e viene “assunto a simbolo di Dio, luce increata che deve illuminare il cuore e la mente dell’autore, perché possa essere capace di avere le visioni divine e di trasferirle poi in simboli e immagine nelle icone”.
“L’icona – conclude – trae origine dai tempi della vita vera storica di Gesù di Nazareth. L’icona più importante cui tutti devono riferirsi è quella del Santo Volto, cioè il Volto di Cristo, immagine trasmessa da lui stesso nel “Santo Mandylion”: come dice Eusebio di Cesarea nella sua storia ecclesiastica, è l’immagine che Gesù ha impresso in un asciugamano piegato in quattro parti e che pare risponda all’immagine della Sindone. Molti studiosi, anche di recente, hanno evidenziato varie analogie tra l’immagine del Santo Volto che noi iconografi scriviamo e l’immagine dell’uomo della Sindone”.
(Autrice: Beatrice Zabotti)
(Foto e video: Simone Masetto e Matteo De Noni)
(Articolo, foto e video di proprietà di Dplay Srl)
#Qdpnews.it riproduzione riservata