In polvere, compatta o in perle; trasparente, coprente o abbronzante. E ancora: illuminante, fissante, opacizzante. Chi più ne ha più ne metta: stiamo parlando della cipria, un cosmetico che da sempre aiuta a esaltare la propria bellezza, a fissare il trucco, a nascondere piccole imperfezioni e a scongiurare l’inestetica lucentezza provocata dall’eccesso di sebo.
Anticamente chiamata polvere di Cipro, essa ha un forte legame con l’omonima isola del Mediterraneo consacrata a Venere (per i greci Afrodite), dea della bellezza e dell’amore.
Kypros, antico nome dell’isola, secondo alcuni mutuerebbe il proprio nome dall’abbondanza di cipressi, per altri dalla presenza di una pianticella anch’essa protagonista della cosmesi, la Lawsonia inermis meglio nota come henné o henna. Una terza e ultima ipotesi associa infine Cipro agli estesi giacimenti di rame (in latino cuprum), un metallo la cui colorazione bruna ricorda quella che assume la pelle dopo l’applicazione di alcune tipologie di cipria.
Nota e apprezzata nel mondo orientale, in Cina e Giappone la cipria conteneva amido di riso, ingrediente che aiutava le donne a sfoggiare un seducente volto candido.
Approdata nel Vecchio Continente attorno al Quattrocento, la polvere di Cipro in origine conteneva biacca, talco, farina o gesso. Uno dei primi a citarla fu il celebre medico, alchimista e astrologo svizzero Paracelso (1493 – 1541), il quale tuttavia si riferiva all’ambretta, una polvere ricavata dalla lavorazione dei semi dell’abelmosco, pianta delle malvacee dalla caratteristica profumazione di ambra e muschio ancora oggi coltivata in Egitto e nelle Antille.
Colorante per capelli e barbe e prezioso ausilio per assorbire il sudore, a partire dal Seicento la polvere di Cipro divenne indispensabile per imbiancare le imponenti parrucche indossate dai nobili. Un business alquanto redditizio che a Venezia alimentò una fiorente industria le cui tracce si ritrovano ancora nella toponomastica cittadina: il Sotoportego e la Corte della Polvere si chiamano così per l’antica presenza di un laboratorio per la produzione della cipria.
La creazione e il commercio della cipria arricchirono e inorgoglirono a tal punto i muschieri, gli antenati dei moderni profumieri, dall’illuderli di potersi staccare dall’Arte dei Merciai e fondarne una propria: un progetto destinato a infrangersi dinanzi all’intransigenza delle autorità della Serenissima che si limitarono a concedere ai muschieri solo una specifica scuola di devozione.
Complice la cipria, nel Settecento, si diffuse la “moda dei capelli bianchi”: la polvere di Cipro, cosparsa abbondantemente su parrucche, toupet e chiome autentiche, con il proprio etereo candore celava imbarazzanti riflessi bruni o rossastri; e poco importava se questo trattamento imponeva la rinuncia a frequenti lavaggi: in nome dell’eleganza pidocchi, sporcizia e cattivi odori si combattevano con abbondanti aspersioni di profumi e generose manciate di cipria.
Soltanto la Rivoluzione Francese riuscì a porre un freno a questo lusso: poiché fra gli ingredienti della cipria sovente figurava la farina, incipriarsi equivaleva ad affamare il popolo e dunque la moda dei capelli bianchi fu messa al bando con buona pace di personaggi come Robespierre che, corre voce, non uscisse di casa se non adeguatamente incipriato.
A cavallo fra l’Ottocento e il Novecento crebbe l’interesse nei confronti non solo della cipria, ma dei suoi contenitori: accattivanti scatolette in metallo, plastica, resina o cartone impreziosite da decorazioni artistiche che trasformarono un banale oggetto di uso comune in status symbol e ambito pezzo da collezione.
Approdata a Hollywood per proteggere i volti delle star del cinema dalle impietose luci del set, la cipria si rivelò un’alleata decisiva per la creazione di volti iconici come quello del leggendario Charlot interpretato da Charlie Chaplin. A riprova di come l’antica polvere di Cipro resti un must fra i cosmetici è sufficiente visitare i siti web dedicati ai prodotti per la cura del viso e del corpo: uno dei più popolari, alla cipria, dedica bel 21 pagine!
Sinonimo di delicatezza e armonia, la leggendaria polvere di Cipro ha lasciato tracce indelebili anche nel linguaggio comune: carta color cipria o camicetta rosa cipria ad esempio. Incipriarsi equivale a truccarsi, imbellettarsi, mettersi in ordine, anche metaforicamente; lo scrittore francese Henri Duvernois, nell’affermare come nella vita sovente occorra fare buon viso a cattivo gioco, al riguardo sentenziò: “Per quanto si pianga molto sinceramente, c’è sempre un momento in cui bisogna rimettere della cipria”.
(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Marcello Marzani)
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