Con ordinanza 25.10.2024, n. 27695 la Corte di Cassazione dichiara illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore che aveva sottratto merce scaduta, poiché considerata dai giudici priva di ogni valore patrimoniale.
Eventi – Il dipendente, impiegato nel reparto macelleria dell’attività commerciale, sottraeva 2 confezioni di merce scaduta (in questo caso trattasi di carne) ignorando, a detta del datore di lavoro, le procedure per lo smaltimento della stessa.
Per tale motivo la società datrice provvedeva a licenziare per giusta causa lo stesso, adducendo a una gravità dei fatti tale da ledere il rapporto di fiducia tra le parti. Il lavoratore avverso tale provvedimento proponeva ricorso in Tribunale.
Il giudice di primo grado, esaminati gli atti, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato per giusta causa considerata l’insussistenza del fatto addebitato consistente nel prelievo di merce non più idonea alla vendita. Avverso tale decisione il datore di lavoro presentava ricorso in secondo grado.
Giudizio di secondo grado – La Corte d’Appello confermava la pronuncia del Tribunale dichiarando illegittimo il licenziamento per giusta causa e obbligando la società al reintegro sul posto di lavoro del proprio dipendente, nonché al risarcimento del danno. Alla base della decisione vi era una mancanza di fatti che potessero rivestire il carattere della grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro tale da far venire meno l’elemento fiduciario dal momento che si trattava di sottrazione di merce scaduta e quindi priva di valore patrimoniale per l’azienda.
Veniva inoltre sollevata l’assenza dell’elemento intenzionale vista l’incertezza sull’effettiva conoscenza da parte del lavoratore delle procedure di smaltimento della merce non più commercializzabile.
Avverso tale sentenza il datore di lavoro presentava ricorso per Cassazione. Il lavoratore resistiva con controricorso.
Interpretazione degli Ermellini – Secondo l’interpretazione della Cassazione, i giudici di secondo grado erano giunti al giudizio di illegittimità del licenziamento per giusta casa a seguito di corretta considerazione degli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del rapporto di lavoro, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente; gli stessi avevano anche tenuto in considerazione il grado di affidamento richiesto al dipendente dalle specifiche mansioni, il danno eventualmente arrecato e le circostanze verificatesi, pervenendo alla conclusione che la sanzione fosse sproporzionata rispetto ai fatti contestati.
La Corte d’Appello aveva inoltre accertato, attenendosi a princìpi già elaborati dalla Cassazione con precedente sentenza, la ricorrenza della nozione di “insussistenza del fatto” che rende applicabile il reintegro del lavoratore.
Per tali motivi veniva rigettato il ricorso per Cassazione e condannata la società al reintegro del lavoratore e al pagamento delle spese di lite.
L’ordinanza in oggetto ci restituisce un’eccezione sulla giurisprudenza in tema di furti all’interno dell’azienda che, ricordiamo, prevede il licenziamento per giusta causa in base all’art. 2119 c.c. qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto.
Autore: Gian Paolo Orfino – Sistema Ratio Centro Studi Castelli
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