La dimora sorge nella stessa località in cui, nel 1192, il Patriarca di Aquileia fece erigere una fortificazione difensiva nota come “il Castello”.
Appannaggio dei Tolentino per circa quattro secoli, nel 1814 gli edifici e i terreni dell’antico feudo di San Polo di Piave divennero proprietà dei conti Papadopoli.
A partire dalla metà del XIX secolo i proprietari commissionarono il radicale rifacimento dell’austera fortezza originaria che, a seguito dell’ampliamento e della sapiente collocazione di pinnacoli, torri merlate e bifore, assunse l’aspetto di un autentico castello medievale “in perfetto stile neogotico inglese meglio conosciuto come Tudor” precisa Vittorio Carraro. Uno stile che caratterizza anche l’interno, un intricato dedalo di corridoi e stanze nel quale ritrovare l’atmosfera coinvolgente della tradizione inglese.
Gravemente danneggiato durante la Grande Guerra, il Castello fu ripristinato alla soglia degli anni Venti grazie alla volontà e alle risorse del nuovo proprietario, Giovanni Giol, un imprenditore vitivinicolo pordenonese emigrato in giovane età nella regione argentina di Mendoza nella quale fondò un’azienda di enorme successo.
Il giardino che circonda il castello, ovviamente all’inglese, fu realizzato con la consulenza di Francesco Bagnara, scenografo della Fenice di Venezia. Gli alberi secolari, le essenze esotiche, un vasto specchio d’acqua dal quale affiorano due isolette offrono l’opportunità di ammirare il castello da più prospettive regalando al visitatore l’atmosfera più adatta al relax e alla meditazione. “Un parco maestoso di circa 130.000 metri quadrati” racconta Vittorio Carraro “il cui splendore si può cogliere appieno visitandolo in barca, a piedi o in bicicletta”.
Le collinette realizzate con la terra di risulta dei restauri e l’antica ghiacciaia meritano anch’esse una sosta per apprezzare l’originalità dei committenti e l’abilità di chi assecondò i loro desideri.
Particolarmente suggestiva è la “bottaia”, un complesso le cui maestosità e unicità si possono percepire soltanto ammirandolo dall’interno. Un edificio curiosamente definito “cantina nuova” perché, come spiega Carraro, “è stato l’ultimo a essere edificato, ma che in realtà risale alla seconda metà del Settecento”. Soltanto al cospetto dell’impressionante successione di botti, chiosa Carraro, si può avere un’idea di quanto lavoro e di quanta fatica abbiano fatto le diverse generazioni di viticoltori che, dalla prima vendemmia risalente al 1427, si sono avvicendate nella tenuta del castello.
(Autore: Marcello Marzani)
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