Ci sarà bel tempo, assicurano le previsioni meteo. E così nella Festa di Ognissanti del 1° novembre la dimensione della partecipazione della gente ai riti e agli eventi di questo solenne appuntamento sarà certamente favorita, rinnovando una tradizione che si ripete ogni anno nei più diversi paesi e città del territorio, puntuale, sentita e diffusa, ricca di elementi e di espressioni dal punto di vista ecclesiale e civile. Premessa: fu papa Gregorio IV, nell’anno 835, a fissare al 1° novembre la festa di tutti i Santi. Nel 1480 Sisto IV allargò il significato della ricorrenza, introducendo un’ottava di preparazione. La festa di Ognissanti assume un profondo significato religioso: infatti, ricorda l’universale vocazione alla santità nel popolo di Dio, il fatto che tutti possono diventare “santi”, vivendo in pienezza la propria esistenza.
Lo ha ribadito anche il recente magistero dei Pontefici: la “classe media della santità”, infatti, è al centro dell’esortazione apostolica di papa Francesco “Gaudete et exsultate” del 19 marzo 2018, un “manifesto” che conferma e suggella proprio i temi dell’universale vocazione alla santità. Nella prassi ormai consolidata di questa Festa di pieno autunno – che in tempi recenti ha assunto pure declinazioni, temi e stili derivanti da altri contesti culturali a lungo estranei alla sua storia, come la vicenda di Halloween – Ognissanti comincia a vivere già nei giorni precedenti la stretta ricorrenza del primo dì di novembre, perché le decorazioni di zucche, frutti e fiori di stagione appaiono in bella mostra in tante sedi, le vetrine dei negozi fanno a gara nell’esporre i simboli di questo evento e locali e ristoranti partecipano in pieno a questa simpatica disfida di gusti e di colori. Soprattutto, l’attivismo regna discreto in un luogo per tutto l’anno avvolto in un silenzio rispettoso e quieto, che accompagna e protegge coloro che non sono più tra noi. Nei cimiteri, infatti, si procede a pulire, a sistemare le tombe, a deporre al meglio le composizioni di fiori, a fare in modo che i luoghi della memoria dei defunti possano essere contraddistinti da ordine, nitore e bellezza.
Sì, e non a caso. Perché va ricordato che se la Festa di Ognissanti, festa anche agli effetti civili, è incentrata sul tema della santità e della pienezza di vita, da sempre – anche e soprattutto perché giornata libera dagli impegni lavorativi – essa è dedicata anche al culto dei defunti, la cui ricorrenza si celebra comunque il 2 novembre. In questo modo, le persone e le famiglie sono facilitate proprio nella visita anticipata ai cimiteri il 1° novembre, giornata festiva in cui in tutte le parrocchie si susseguono riti, preghiere e celebrazioni in suffragio delle anime di coloro che si sono congedati dalla vita terrena. Insomma, si ricordano in maniera speciale e commossa le storie e i volti di coloro che un tempo erano insieme a noi e ai quali abbiamo voluto bene, onorando con la presenza, il raccoglimento e i fiori crisantemi la loro memoria.
Da sempre, quindi, la Festa di Ognissanti assume un duplice volto: al mattino nelle chiese si celebrano le messe consuete, ispirate come detto alla vocazione alla santità e all’esempio di quanti hanno saputo testimoniare la pienezza di vita, anche senza essere riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa così da salire agli onori degli altari.
A partire dal primo pomeriggio, invece, le veglie di preghiera e le processioni verso i cimiteri sono un po’ dovunque le dimensioni collettive che si aprono alla partecipazione di tutti, come omaggio sentito e doveroso, realizzato insieme, a quanti hanno fatto parte della comunità ecclesiale e civile e restano ben vivi nella grata memoria di familiari, amici e conoscenti. Prima la processione, con tutti presenti, esponenti di ogni generazione, secondo i canoni di un rito ormai quasi espunto dalle tradizioni del vivere civile attuale, ma che torna con forza proprio in occasione di Ognissanti; poi la preghiera giunti alla meta in cimitero; infine, la possibilità per tutti di andare a salutare i propri congiunti, pregando sulle tombe e accarezzando qui fiori, nomi e volti amati. In ogni caso, nelle città e ormai anche nei paesi, oggi è difficile ritrovare il silenzio che accompagnava un tempo le serate dei Santi e dei morti. C’erano le castagne per i defunti, con la recita del Rosario: si pregava “Requiem eterna per i nostri morti” nelle case con le famiglie riunite.
A volte, in qualche paese, questa recita del Rosario si mantiene ancor oggi in esterno la sera dei Santi o la sera dei Morti, anche lungo un percorso compiuto dalla gente all’interno dei cimiteri. Un tempo, sul fuoco del camino c’era il pentolone delle castagne lesse o arrostite che si gustavano dopo la preghiera fatta in chiesa e al camposanto. Far cuocere le castagne nei giorni dei Santi e dei morti era proprio una devozione antica, come l’usanza di lasciare sul tavolo della cucina una ciotola ripiena. Tra i riti più diffusi in tutto il Veneto c’era il pane dei morti, i “ossi dei morti”, conosciuti anche come “fave”.
Sono dei dolcetti preparati con una base di mandorle tritate, zucchero, farina, albumi, burro, buccia di limone, lievito, cannella e modellati a forma di fava. Secondo alcune tradizioni, esse rappresentano le carezze di un caro estinto, mentre avveniva altri casi che i fidanzati, per allontanare tristezza e malinconia, ne regalassero un sacchetto alle loro amate, come gesto felice di affetto.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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