Un killer silenzioso sta decimando le popolazioni di pipistrelli in Nord America, con conseguenze potenzialmente devastanti non solo per l’ecosistema, ma anche per la salute umana.
La sindrome del naso bianco (WNS), una malattia fungina scoperta per la prima volta nel 2006, si è rapidamente diffusa attraverso il continente, lasciando dietro di sé un vero disastro.
Causata dal fungo Pseudogymnoascus destructans, questa patologia prende il nome dalla caratteristica muffa bianca che cresce sul muso e sulle ali dei pipistrelli infetti. Ma il vero pericolo si cela sotto la superficie. Il fungo attacca i pipistrelli durante il loro periodo di letargo invernale, quando le loro difese immunitarie sono al minimo. Il risultato è devastante: frequenti risvegli che esauriscono le riserve energetiche vitali, disidratazione e squilibri elettrolitici che portano alla morte. Con tassi di mortalità che in alcune colonie raggiungono il 90-100%, la WNS rappresenta una delle più gravi minacce alla biodiversità dei mammiferi in Nord America degli ultimi decenni.
Le conseguenze di questa epidemia si estendono ben oltre il mondo dei pipistrelli, toccando in modo inquietante anche la vita dei neonati umani. Per comprendere appieno questo legame, dobbiamo considerare il ruolo cruciale dei pipistrelli nell’ecosistema e nell’economia agricola.
Chi vive in una fattoria sa che i pipistrelli riescono a mangiare fino al 40% del loro peso corporeo ogni notte in insetti. Questo servizio ecologico ha un valore economico concreto, aspetto fondamentale quando si affronta il tema della sostenibilità. Infatti, gli ecologi hanno stimato il valore di questo servizio tra i 4 e i 53 miliardi di dollari all’anno.
Con il crollo del numero di pipistrelli dovuto alla WNS, gli agricoltori si sono trovati costretti a ricorrere a misure alternative per proteggere i raccolti. Nell’anno successivo alla comparsa della malattia nella loro zona, gli agricoltori hanno aumentato l’uso di insetticidi di 1 kg per chilometro quadrato. Entro cinque anni, questo aumento è arrivato a 2 kg per chilometro quadrato, con un incremento medio del 31%.
Parallelamente a questo aumento nell’uso di insetticidi, si è registrato un allarmante aumento dell’8% della mortalità infantile nelle stesse zone, con un incremento di decessi attribuiti a cause come malattie e difetti congeniti. I ricercatori ipotizzano che l’aumento dell’esposizione agli insetticidi, noti per i loro potenziali effetti nocivi su feti e neonati, possa essere un fattore chiave dietro questa tragica tendenza.
“In luoghi dove le popolazioni di pipistrelli sono crollate, gli agricoltori hanno spruzzato più insetticidi e la mortalità infantile è aumentata vertiginosamente”, afferma lo studio. Scienziati della Johns Hopkins University definiscono questa ricerca “la prova più convincente fino ad oggi” del legame tra la perdita di una specie selvatica e i conseguenti impatti sull’economia e sulla salute umana.
Questo caso evidenzia chiaramente il concetto di “One Health” o “Una sola salute”; sapere che la salute umana, animale e ambientale sono intrinsecamente interconnesse.
La perdita di biodiversità, in questo caso dei pipistrelli, ha innescato una catena di eventi con conseguenze dirette sulla salute umana, dimostrando quanto sia cruciale adottare un approccio interdisciplinare alla salute e alla sostenibilità.
Ancora un’altra drammatica evidenza di quanto la biodiversità sia la chiave per la sostenibilità e per la salute di tutti.
(Autore: Paola Peresin)
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