In questo tempo doloroso e triste per le guerre sanguinose e crudeli che tornano ad affacciarsi sulla scena del mondo, si rivelano stringenti nella loro verità e profondamente attuali le parole che papa Francesco ha rivolto al Corpo Diplomatico a inizio 2024 ricordando che le vittime civili «non sono “danni collaterali”. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita», e ha aggiunto che «se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia e “un’inutile strage”, che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra».
Come ha evidenziato Andrea Monda in un recente editoriale sull’Osservatore Romano, si tratta di una riflessione che molte altre volte il pontefice ha offerto alla mente e ai cuori di chi lo ascolta: ogni uomo non ha ma è un volto, un nome, una storia. Una storia grande, come aveva evidenziato anni fa ritornando da uno dei suoi viaggi internazionali, perché non esistono storie piccole se si tratta di esseri umani: ciascuna esistenza è dotata di una dignità che è, semplicemente, incommensurabile.
Una storia, un volto, un nome, questo e non altro per dire il mistero rappresentato da ogni essere umano, nella sua unicità e irripetibilità. Essere guardati negli occhi e chiamati per nome, forse oggi più che in passato, è il bisogno più acuto, urgente, che vive l’uomo contemporaneo, soprattutto nella nostra società occidentale, specialmente i giovani: questo significa vivere la vita come la chiamata personale a un destino, per non ricadere nel vuoto della solitudine, come un numero nella massa anonima. A questo proposito, è molto vero quello che afferma il filosofo Gilles Deleuze: “Sceglie davvero, sceglie effettivamente, solo colui che viene scelto”.
Essere scelti, e quindi scegliere, nel senso di “elezione”, perché la parola eligo in latino ha a che fare con “scegliere”, anche nel senso di amare: l’eletto è innanzitutto l’amato. L’amore fugge via dall’astrazione e vive solo nella concretezza, e ha quindi bisogno sempre di un volto e di un nome, da stimare, assumere su di sé, comprendere, curare, ai quali voler bene. Tutto questo richiede tempo e pazienza. Spesso però il mondo ha fretta e quindi salta la via lunga e concentra la materia incandescente della vita, inevitabilmente raffreddandola e riducendola attraverso non i nomi, ma i numeri. L’alternativa al nome infatti è il numero. Al file che scriviamo sul nostro personal computer dobbiamo dare un nome se lo vogliamo salvare: rimane riconosciuto, custodito e disponibile, infatti, solo con il nome, altrimenti il computer lo registra come “senza nome 1”, con il numero. Solo il nome salva, mentre invece il numero massifica facendo perdere l’identità.
E’ la tragica verità che arriva dalla storia, la terribile lezione che l’umanità non sembra però aver ancora imparato, e che troppo spesso invece colpevolmente dimentica. Non possiamo mai, per nessun motivo, perdere la memoria della cancellazione del nome e dell’apposizione del numero stampato sul braccio dei detenuti nei campi di sterminio. Sono passati ottant’anni da allora, ma quel rischio non è scomparso. Anzi. E’ ritornato nel cuore dell’Europa negli anni ’90 del secolo scorso con la pulizia etnica e i genocidi nel terribile conflitto dell’ex Jugoslavia. E’ riapparso nelle guerre infinite, spesso ignorate, in tante nazioni in varie parti del mondo. Negli ultimi due anni, poi, si è tramutato in mostruosa realtà, con uccisioni, violenze e crudeltà di ogni tipo, verso civili e prigionieri, in Ucraina e in Terra Santa.
Numeri al posto delle persone, contabilità di vite perdute invece di azioni in difesa della dignità e della libertà di ogni uomo e di ogni donna, dentro lo smarrimento complessivo di ogni senso compiuto e naturale di umanità. “Homo homini lupus”, come se nulla fosse accaduto, come se le distruzioni, i lutti e i danni irreparabili provocati dalla guerra non avessero insegnato nulla, neanche in questo tempo di magnifiche conquiste di scienza e tecnologia che aprirebbero un destino migliore e felice per tutti, e traguardi di pace, di civiltà e di bene mai conquistati finora. E’ un allarme sentito e diffuso, che non si ferma alle patologie più gravi, alle manifestazioni più evidenti e cruente dell’ostilità fra le nazioni e gli eserciti in campo internazionale.
E’ un tarlo più insidioso: è il pericolo di una “disumanità” applicata ai singoli, di una riduzione a “numero”, di una sorta di chiamata all’anonimato, all’indistinto, alla massificazione che non distingue più le caratteristiche di ciascuno. E’ l’allontanamento dal nome che chiama e specifica, che sceglie e che ama.
E’ la a-nomia, la privazione del nome, perché in questo modo è molto più semplice mettere in atto una strategia economica e sociale che mira a sostituire la verità e l’originalità delle singole persone con i dettami del mercato, con la filosofia delle campagne pubblicitarie dei prodotti commerciali, con la riduzione a “cliente” in solitudine, senza nome e senza volto, dell’impianto di vita comunitario, seguendo la logica del progressivo superamento delle aggregazioni e dei corpi intermedi che sono i veri fattori generativi e distintivi di un vivere sociale coeso, armonico e sereno. Un poeta-profeta come Christian Bobin ha lanciato il suo grido quando ha scritto che «i numeri stanno rodendo le travi del mondo. Avanzano, avanzano. Un giorno rimarrà solo la poesia a salvarci […] Un giorno alzeremo il capo verso il cielo e tutto quel che vedremo sarà un cartellone pubblicitario con il prezzo d’ingresso per il paradiso. […] Cos’è l’umano, se non ciò che non sopporta i numeri, la terribile abilità pratica?». Il riferimento alla pubblicità, al calcolo del prezzo del “biglietto”, è ironico quanto inquietante. Come detto sopra, anche la pubblicità infatti ci chiama, ma non per nome: la sua è “reclame”, propaganda, rivolta a un numero indistinto non di persone ma di potenziali consumatori.
Che fare dunque, nel nostro piccolo, ognuno per la propria parte, per dare un segnale diverso, per marcare un’inversione di rotta? Serve ricominciare dalla delicatezza e dalla significatività di donare il nome, di attribuire il nome, di chiamare sempre per nome, di scegliere un nome con cura, a partire da quello dai figli che stanno per venire al mondo. Conterà molto, nella loro vita, il loro nome. E varrà molto la rivoluzione della bellezza dei “nomi” delle persone per vincere questa sfida di nuovo umanesimo e di pace, per il bene di tutti.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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