Il decreto Milleproroghe ha previsto il prolungamento sino al 30.06.2021, dopo gli altri differimenti decisi in precedenza.
La sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall’art. 103, c. 6 D.L. 18/2020 (decreto Cura Italia, convertito in legge), è stata prorogata fino al 30.06.2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione del decreto di trasferimento di immobili pignorati e abitati dal debitore e dai suoi familiari.
Confedilizia ha fortemente criticato questa decisione ritenendola una misura liberticida che determina sfiducia nello Stato e il totale disincentivo a qualsiasi forma di investimento in immobili da locare.
Perché si dovrebbe continuare a pagare l’affitto, se gli sfratti sono bloccati?
Perché non viene fatta una distinzione rispetto alle morosità pluriennali e precedenti all’emergenza Coronavirus?
Si tratta di un incentivo a tenere gli immobili sfitti in attesa di effettuare (quando tornerà possibile) un affitto turistico di breve durata che non comporta reali rischi di vedersi privati della disponibilità dei locali, diversamente da quando sono, invece, locati a soggetti che non intendono pagare il canone. Con queste misure di blocco generalizzato degli sfratti vengono legittimate situazioni di illegalità dovute a consolidate pratiche di morosità, dando riconoscimento ai comportamenti di coloro che hanno (e potranno, sempre più, peraltro legittimamente) approfittare della situazione.
Questa decisione non è accompagnata da alcun risarcimento in favore delle vittime del blocco, nemmeno da un esonero dal pagamento dell’Imu. Al riguardo, Confedilizia sta pensando come sollecitare il vaglio della Corte Costituzionale, anche se al riguardo occorrerà attendere che i Giudici di merito sollevino la questione nelle sedi giudiziarie competenti. Se ci sono persone in difficoltà (e tra i tanti beneficiari del blocco, insieme con i disonesti, rientrano ovviamente anche situazioni di reale bisogno), dovrebbero essere Stato, Regioni e Comuni a farsi carico del problema.
Con il blocco degli sfratti, invece, oltre a non effettuare la necessaria distinzione fra inquilini in difficoltà e inquilini che hanno tenore di vita migliore dei proprietari, viene imposto ai privati cittadini di svolgere una funzione che è propria del settore pubblico. L’ennesimo esempio reiterato di welfare a carico del privato. Ma ne possiamo citare molti altri. Dopo le proposte di patrimoniale che hanno ripreso l’iter legislativo, fermate per mancanza di copertura, si sono notate ulteriori iniziative parlamentari, non ancora concretizzate, finalizzate a introdurre il diritto per chi vive in affitto di pretendere la rinegoziazione del canone. Unico requisito richiesto sarà quello di sostenere di avere subito un calo del reddito di almeno il 50% o comunque una diminuzione dei guadagni in misura tale che il canone d’affitto incida per oltre il 30% sullo stipendio mensile. Basterà una semplice autocertificazione.
Tuttavia, mentre per l’accesso ad analoghe agevolazioni del settore pubblico, è necessario presentare prove, attestazioni, asseverazioni, assicurazioni, visti di conformità, comunicazioni telematiche, subire accertamenti e presentare ricorsi, per questo taglio forzoso dell’affitto a carico di proprietari immobiliari, potrebbe essere sufficiente una semplice autocertificazione. Per evitare che tale ipotesi normativa possa espressamente configurarsi come un palese “esproprio”, gli ideatori della stessa hanno previsto il ricorso a una procedura di negoziazione, alla quale, se il proprietario di casa non si presentasse, seguirebbe un provvedimento del giudice che la renderà cogente.
Già da tempo numerosi proprietari si accordano volontariamente con le controparti per definire rinegoziazioni temporanee del canone a inquilini in difficoltà, ma intromettere lo Stato nelle trattative tra privati configura l’ennesima distorsione del mercato. Tale ipotesi estrema, se poteva avere un senso come misura provvisoria all’inizio della pandemia, per bloccare momentaneamente le situazioni più tragiche determinate dall’emergenza sanitaria, in attesa di programmare interventi più strutturali, ora appare sempre più un modo per scaricare sui privati il costo del sostegno alle persone in difficoltà.
Nessuno prende mai in considerazione la situazione finanziaria del proprietario di casa, considerato ricco possidente per definizione: se non riesce a pagare le imposte statali e locali sugli immobili, potrà solo essere pesantemente sanzionato senza repliche o appelli.
Autore: Stefano Zanon – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl