Il gusto della convivialità

Il gusto della convivialità

Mentre la delegazione della Città di Treviso si prepara a vivere martedì 5 marzo l’audizione ufficiale a Roma all’interno della competizione finale per il conferimento del titolo di Capitale italiana della Cultura 2026 (auguri!), restano sempre in mente alcune considerazioni di valore che a gennaio 2021 accompagnarono la comunque straordinaria e felice candidatura allo stesso ambìto riconoscimento per l’anno 2022 da parte della Città di Pieve di Soligo e delle Terre Alte della Marca Trevigiana, alla fine arrivata nella “short list” delle prime dieci classificate.

Ebbene, a livello di consulenti esperti, un elemento particolare di successo e di attrazione del territorio venne suggerito tra i tanti al gruppo di coordinamento del dossier pievigino, ossia le caratteristiche insuperabili dell’enogastronomia e del gusto per la genuina convivialità diffusi sul territorio dell’Alta Marca, di altissimo livello e gradimento. Certo, un fatto scontato, direbbe qualcuno. Nessuna sorpresa, perché l’abitudine a preparare cibi, mangiare e bere al meglio è da sempre un elemento distintivo della bellezza e del fascino attrattivo delle genti che vivono nelle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, oggi Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

E’ invece un fattore di grandissima rilevanza, perché elemento costitutivo di profondi convincimenti culturali e di uno stile di umanità e di accoglienza che rappresentano il biglietto da visita ben visibile ed eloquente di un’intera comunità. Il piacere dello stare a tavola, appunto, con tutti i suoi ingredienti e tutti i suoi sapori, rappresenta da sempre un elemento fondamentale di questa civiltà, l’espressione autentica di una concezione di vita che unisce salute e bellezza, talento e bontà, tradizione e innovazione, ospitalità e gioia di vivere. Non sembri un paradosso: proprio le popolazioni che hanno patito anche nell’alimentazione le ristrettezze e le sofferenze di un tempo antico di povertà e di emigrazione, aggravato dalle tragedie delle due guerre mondiali, oggi sono conosciute un po’ dovunque per la sapienza della loro convivialità, la qualità dei prodotti, la genuinità delle filiere, la superbia dei manicaretti offerti, l’amore per la cucina come invito ad essere insieme degustando piatti e vini raffinati, veri e gustosi nella loro essenziale semplicità, nel calore della loro gentilezza.

Si potrebbe obiettare che l’argomento è oramai di moda da parecchio tempo: programmi televisivi per aspiranti cuochi che si susseguono da vari anni, “influencer” e volumi che offrono le migliori ricette, corsi di cucina per appassionati di tutte le età, reality e competizioni che decretano sugli schermi delle tv pubbliche e private i ristoranti stellati, quelli da consigliare a un pubblico sempre più maturo e consapevole sulle scelte da compiere e i locali da preferire.

Ma nel caso del territorio citato sopra, e delle persone che ci vivono e lo animano, c’è davvero qualcosa di più: un “sentiment”, un approccio, una visione, uno stile di convivialità che si manifesta in tanti modi, sin dalla preparazione dei cibi, e che accompagna tutto il rito del ritrovarsi in famiglia o tra amici attorno alla  tavola imbandita. E’ tutto dentro un respiro e un impianto a valenza regionale, perché, come scrisse di recente nel suo saggio breve “Una cultura di prodotti tipici”  il compianto sociologo e scrittore Ulderico Bernardi, “si deve parlare del Veneto contemporaneo come di una realtà agropolitana. Definizione che esclude l’immiserimento della regione a una logica urbanocentrica, con la campagna avvilita a residuo marginale. Utile a capire che alle spalle dell’industrializzazione tumultuosa degli ultimi decenni non sta il nulla, bensì un’accumulazione di esperienze secolari, di affinamenti nella produzione agricola, di abilità nell’artigianato rurale e d’intelligenze creative applicate al buon governo della terra. Solidi motivi per farci godere tuttora di una gustosa cucina, di vini eccellenti, di verdure abbondanti, che non sono riferimenti secondari al primato veneto in materia di turismo, interno e internazionale”.

E’ una riflessione intelligente e preziosa, alla quale il noto studioso dei fenomeni sociali, della cultura veneta e dell’emigrazione, nativo di Oderzo, univa la considerazione che “ogni comunità consapevole d’essere impasto di passato, presente e futuro, s’interroga sul divenire d’un mondo esaltato dallo strapotere tecnologico,  cerca conforto nei “cibi di casa”, che dilatano la memoria ancestrale del latte materno, l’appartenenza quasi carnale al luogo natìo, concentrata negli umori dei frutti, nel sapore delle carni e nell’aroma di vini e formaggi”. Secondo queste giuste considerazioni, ad esempio, lo spiedo d’Alta Marca, insieme a tante altre specialità preparate in questa terra, diventa il simbolo di una cura, di una lentezza, di una profondità di convincimenti, di saperi e di sapori che guidano le mani esperte dei cuochi “menarrosti” e dei maestri dei più famosi locali.

Cucina di popolo, dei giorni feriali e festivi, non di “elite”, a significare che dentro la cultura quotidiana di queste terre esiste l’amore per gli altri che si fa incontro, condivisione, degustazione, predilezione speciale per la convivialità che unisce le persone e fa stare bene. Di fatto, un inno ai piaceri e alla qualità della vita, che passa più che mai attraverso il recupero di uno stile salutare, leggero e felice di approccio alla cucina, senza la fretta ossessiva e super veloce del “fast food” come pratica e come ambiente di consumazione.

Un nuovo umanesimo comincia dal recuperato rispetto per il patrimonio ereditato dai predecessori – affermava ancora il professor Bernardi – La cultura universale pretende di venire considerata nel concreto universo di culture che la formano … Una visione cosmica, un cammino di sapienza, un andare memoriale che ciascuno è chiamato a percorrere, da sé e con gli altri. Muovendo i suoi passi dal cortile di casa, dove affonda la radice dell’appartenenza. La storia dell’alimentazione ha dimostrato, secondo Jean-Pierre Poulain, come ogni volta che le comunità locali sono messe in pericolo, la cucina e i modi di mangiare e bere diventano luoghi privilegiati di resistenza”. Dentro la storia, tra passato e futuro, il gusto della convivialità diventa dunque segno evidente e vincente di un recupero vitale, di una memoria feconda, di una tradizione protetta, di un nuovo umanesimo che assume una concreta consegna e si pone all’altezza delle sfide dei tempi.  

(Foto: archivio Qdpnews.it).
#Qdpnews.it

Total
0
Shares
Related Posts