Nel salotto del cavalier Emilio Bottin, nato l’11 gennaio 1924, presidente da quarant’anni dell’associazione Combattenti e Reduci (ANCR) e cittadino tra i più anziani di Maser, e più precisamente sopra alla poltrona dove lui stesso – meritatamente – è solito riposare dopo pranzo, è appesa una fotografia che ritrae due giovani sposi davanti ai cancelli di Villa Barbaro. La sposa, Elide, indossa ai piedi un paio di scarpette bianche. Indicandocele, nel giorno del suo centesimo compleanno, Emilio afferma orgoglioso: “Quelle scarpette gliele avevo fatte io”.
Perché oltre a essere stato un reduce di guerra, oltre a essere partito come guardia frontiera in Croazia nel maggio 1943 e poi trasportato in Prussia come prigioniero dopo l’armistizio, dopo aver rischiato la vita ed essersi tappato le orecchie durante decine e decine di bombardamenti, dopo essere tornato a casa e aver trovato un paese cambiato, stravolto dalle conseguenze di un’occupazione, oltre a tutto questo, Emilio Bottin è stato anche uno di quegli uomini che ha concretamente contribuito a rendere il settore calzaturiero locale un’eccellenza internazionale.
Per raccontare i tanti aneddoti che Bottin custodisce e racconta volentieri, con vitalità (è in perfetta salute) e gli occhi azzurri che brillano di orgoglio, servirebbe un libro intero. Per sette giorni e sette notti lui e i suoi compagni viaggiarono in treno per raggiungere un campo di concentramento nel nord della Germania, stipati nei vagoni come bestiame senza lavarsi e senza quasi mai dormire, perché non c’era spazio per sdraiarsi. Lì i prigionieri venivano nutriti con un solo fioretto di pane vecchio, che poi veniva diviso in sette porzioni, e una tazza d’acqua.
Nel secondo campo, questa volta di lavoro, quasi ogni notte i prigionieri venivano svegliati dall’allarme per gli imminenti bombardamenti e fatti uscire dalle baracche, nel buio e nel gelo, poi di nuovo alle quattro e mezza per andare a lavorare. “Cercavo sempre di stare in mezzo alla fila, così da toccare gli altri prima e dopo di me e non rischiare di inciampare. Se ti facevi male eri finito”. Bottin racconta di come i suoi compagni venissero frustati e, se ammalati, semplicemente soppressi. “Eravamo arrivati a sperare che una bomba cadesse su di noi e ponesse fine alle nostre sofferenze” racconta.
Persino all’arrivo delle truppe alleate sul Reno (che non fu qualcosa di immediato, poiché il primo tentativo di attraversare il fiume da parte dei liberatori fallì), a Emilio non fu concesso di tornare a casa: “Gli americani ci costrinsero ad aspettare ancora” racconta. Riuscì a mettersi in viaggio soltanto nell’agosto del 1945, arrivando in qualche modo, finalmente, a Bassano del Grappa.
“Ricordo che quando arrivai qui c’era stata una grandinata terribile che aveva fatto grandi danni in paese, portando via tutto. Riconobbi Maser soltanto considerando la ciminiera di un pastificio”. Prima della guerra Bottin aveva fatto un’infanzia in campagna, vivendo in una famiglia numerosa, studiando fino alla quarta elementare e poi dedicandosi all’agricoltura. Una volta tornato, invece, si lanciò in un settore che era ancora agli esordi: quello della produzione di calzature.
Nella propria carriera Emilio fece da supervisore a molti di quelli che oggi sono noti imprenditori di questo segmento: festeggiando con i quattro figli (due uomini e due donne), i nipoti e i parenti, Emilio ci mostra il brevetto originale da lui voluto e siglato di una pinza pneumatica di cui fu inventore.
Da un cassetto estrae anche alcuni documenti relativi a un ordine di diecimila scarponi che portò avanti per l’Esercito Italiano. Di questa vicenda, Bottin ricorda bene la “prova dell’acqua” ovvero di come quei modelli non avessero superato in un primo momento il test di impermeabilità (problema che poi lui dovette risolvere).
“Ho il sangue buono, così ho resistito e sono andato avanti perché bisogna – spiega Emilio, che è anche medaglia d’oro dell’Avis per le sue centinaia e centinaia di donazioni – Ma ho fatto una “vita da morti” in quegli anni”.
“Emilio Bottin è a Maser l’unica memoria vivente della Seconda guerra mondiale, lo è anche per le origini del fenomeno della calzatura sportiva, così importante nello sviluppo socio-economico della comunità maserina – ha commentato il sindaco Claudia Benedos, che assieme agli assessori Alida Vettoruzzo e Daniele De Zen gli hanno portato questo pomeriggio una targa di riconoscimento e gli auguri di tutto il paese. – Un vero esempio di coraggio, di forza e intraprendenza per tutta la comunità”.
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