A Phileas Fogg sono serviti 80 giorni per fare il giro del globo, un viaggio mirabolante che lo chef del Bloom di Treviso ha declinato in una serie di piatti (da 80 grammi), tanti quanti sono i paesi attraversati dal protagonista del romanzo di Jules Verne.
A misurare la distanza del viaggio, in questo caso non è geografico ma culinario, sono i sapori che cambiano da un paese all’altro, facendo di chi siede a tavola una sorta di moderno esploratore del gusto.
Attraversata la penisola balcanica e poi l’Egitto, giovedì scorso il quarto capitolo del ciclo di cene organizzato dal locale e coworking di via San Liberale e ribattezzato “Il giro del mondo in 80 grammi”, ci ha trasportati direttamente alle porte dell’Africa e poi ancora più in là fino all’estremità della penisola arabica.
Un po’ come fecero Phileas Fogg e Passepartout a bordo di un piroscafo, anche noi abbiamo navigato lungo le coste del mar Rosso a caccia di nuovi sapori e profumi, dove ritrovare l’anima più profonda di un paese, dove un singolo piatto tiene assieme culture, storie, lingue e tradizioni religiose.
Un curry arabo dà il benvenuto in Oriente
Il kabsa è il curry arabo per eccellenza: un mix di spezie che rappresenta un pilastro della cucina saudita. Trovarne di autentico e di qualità nel nostro paese è una missione impossibile che non ha scoraggiato chef Matteo Bianchin e i suoi collaboratori che armati di pazienza – e dopo ben 25 prove – hanno ottenuto il risultato desiderato.
Questo mix di zafferano, cannella, cardamomo, pepe nero, paprika e curcuma è diventato il protagonista del primo dei tre piatti della cena, ovvero un kabsa rice con petto di pollo marinato e sfilacciato che ad ogni morso rievoca le atmosfere suggestive dei racconti di Shahrazād. Al di là della difficoltà tecnica di riprodurre un kabsa originale, l’abilità dello chef si nota anche nella scelta relativa alla carne: una coscia di pollo disossata e cotta con la pelle, che risulta tenerissima e grassa al punto giusto.
Zighinì, pane etiope ed è subito “comfort food”
Dopo un curry da “Mille e una notte”, è la volta della portata principale che ci porta diretti sulla sponda opposta del Mar Rosso, in Eritrea. Qui ritroviamo lo zighinì, una pietanza povera ma ricca di sfumature allo stesso tempo: un piatto imprescindibile della cucina eritrea ed etiope. Si tratta in sostanza di uno spezzatino di manzo con verdure aromatizzate, qui accompagnato, come da tradizione, da legumi cotti in umido e servito sul pane injera.
Quest’ultimo è una crespella fermentata poi cotta in padella fino ad assumere una consistenza morbida e porosa. La tradizione vuole che si mangi staccandone con le mani dei piccoli lembi con cui avvolgere il boccone. In Eritrea ed Etiopia è comune che a tavola si mangi dallo stesso piatto proprio usando questa tecnica, un’alternativa (divertente) da provare scoprendo il piacere di mangiare con le mani. La punta acidula dell’injera, la carne di manzo, tenerissima, e poi i legumi in umido, assieme fanno dello zighinì di chef Bianchin un vero “comfort food” etiope che riscalda il cuore.
La Pasqua degli ebrei yemeniti con il charoset
Arrivati al dessert c’è una premessa da fare. Il quarto capitolo de “Il giro del mondo in 80 grammi” si conclude nello Yemen, un paese che dal punto di vista religioso si associa esclusivamente all’Islam, trascurando però una pagina di storia millenaria legata all’antica presenza ebraica yemenita protrattasi fino alla fine del XX secolo. Si spiega così la scelta dell’ultimo atto della cena di giovedì scorso che è ricaduta su un dolce tipico della Pesah (Pasqua ebraica).
Il dolce a base di mele verdi, frutta secca, succo di melograno e semi di sesamo, si può presentare in diverse forme, sia cotto (e dunque sarà più simile ad una torta) che crudo e dunque ridotto ad una pasta spalmabile che profuma di noce moscata, cardamomo e zenzero. È proprio quest’ultima la forma scelta da chef Matteo Bianchin che l’ha proposto con del pane azimo (sempre fatto in casa) da accompagnare ad un caffè yemenita estratto tramite filtro V60.
“V60”, ha spiegato il coffee specialist del Bloom Emanuele Dalla Torre, è un riferimento all’angolo a 60 gradi del cono dove viene inserito il filtro di carta. La polvere di caffè, in questo caso un caffè originale dello Yemen quasi introvabile sul mercato e recuperato di fortuna da una torrefazione di Parigi, rimane in infusione e in percolazione, e grazie al filtro viene ripulito dai sedimenti: la tecnica opposta rispetto all’ibrik turco assaggiato alla tenza cena.
Il risultato è un caffè privo di fondi, che valorizza le caratteristiche del chicco maturato sugli altipiani terrazzati dello Yemen a oltre 2000metri sopra il livello del mare. Con questa tazza di caffè delicato e leggero (contiene pochissima caffeina) cala il sipario sul quarto capitolo di un gustoso viaggio nel mondo che il prossimo 16 novembre proseguirà a vele spiegate verso l’oceano Indiano.
(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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