Giovedì sera 19 ottobre in una tecnostruttura della Pro Loco di Tovena colma di cittadini attenti, è stato presentato il volume “Le mie memorie durante l’era fascista e la Resistenza” di don Giuseppe Tonon, curato dalla professoressa Annamaria Gazzarin ed edito dell’ISREV (Istituto della Resistenza di Vittorio Veneto).
Ha dato il via alla serata l’inno nazionale italiano eseguito dal Coro Ana di Vittorio Veneto. Dopo i saluti del sindaco Cristina Da Soller, la quale ha ringraziato la Pro loco e i tanti volontari per i momenti culturali e di riflessione sulla storia del territorio, del vescovo monsignor Corrado Pizziolo e del vicepresidente della sezione degli Alpini di Vittorio Veneto Maurizio Casetta, sono intervenuti il direttore scientifico dell’ISREV Pier Paolo Brescacin e la curatrice Gazzarin. Ad accompagnare le testimonianze, alcuni canti eseguiti dal coro ANA. Presenti alla serata anche gli assessori alla cultura di Tarzo Michela Cesca e di Vittorio Veneto Antonella Uliana.
Tovena, 1941 – 1969: guerra, fame ed emigrazione
Classe 1895 di Scomigo di Conegliano, don Giuseppe Tonon è stato un pastore importante per la comunità di Tovena per ben 28 anni (dal 1941 al 1969, anno in cui fu comandato in qualità di mansionario a Orsago).
Giuseppe fu alpino combattente nella prima Guerra mondiale. Venne arruolato e inviato dopo un breve periodo di addestramento in un territorio dichiarato stato di guerra, nel 7° reggimento degli Alpini di Pieve di Cadore. Promosso Sottotenente e Tenente, venne congedato con grado di Capitano e partecipò a diverse operazioni in alta quota con gli Alpini.
Nel 1970 gli venne conferita l’onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto. Gli anni al fronte lo segnarono molto e maturò proprio lì il desiderio di farsi prete. Oltre alla religione, il suo legame era molto forte anche con il corpo degli Alpini: esso incarnava perfettamente il senso di appartenenza e dovere nel confronto dello stato, con un’attenzione verso i poveri e i bisognosi.
La seconda fase, quella determinante nella sua vita, fu quella ecclesiastica. A due anni del congedo, 26enne, fece domanda ed entrò in seminario dove compì gli studi liceali e teologici. Il 19 aprile 1930 diventò ufficialmente prete. Dopo un breve periodo a Mogliano Veneto, andò a Ceggia: un periodo a cui, nelle sue memorie, viene dedicato ampio spazio. Andò poi a Codognè, a Rua di Feletto e ad Arfanta, dove rimase fino al luglio del 1941, quando fu nominato parroco di Tovena. Qui rimase per ben 28 anni.
Anni, quelli trascorsi a Tovena, caratterizzati da guerra, resistenza, fame ed emigrazione. Nella data del suo insediamento, in parrocchia erano rimasti prevalentemente donne, bambini e anziani perché la maggior parte degli uomini era al fronte (nei Balcani, in Africa e in Russia). I pochi uomini rimasti avevano già pagato il loro prezzo alla patria come “orfani di guerra” durante il primo Conflitto mondiale. La figura del sacerdote era fondamentale per la comunità perché doveva essere una guida, un sostegno, e Giuseppe fece proprio questo, incarnando gli ideali del Vangelo e mettendosi a disposizione per i suoi parrocchiani.
La quasi totalità delle famiglie ricavava il proprio sostentamento dal duro lavoro della terra, e pochi erano i contadini possidenti perché la maggior parte dei fondi apparteneva ai conti Brandolini, proprietari anche delle case concesse come abitazioni ai loro mezzadri. Gli altri, per sopravvivere, si offrivano come braccianti o si ingegnavano in piccole attività artigianali e commerciali, sia a supporto dell’attività contadina, sia per soddisfare le esigenze dell’intera comunità.
Le sue memorie sono un’espressione concisa della storia del paese. Il territorio di Cison di Valmarino, e in particolare la parrocchia di Tovena, era al confine con il territorio della provincia di Belluno, Bolzano e Trento, nel terzo Reich. Il passo di San Boldo era strategico. La Vallata era presidiata in forma massiccia dalle truppe. A Tovena i tedeschi arrivarono domenica 3 settembre 1944, verso le ore 14, setacciarono le case e si diressero infine verso il San Boldo. Nei mesi successivi ce ne furono altri, fino alla primavera successiva quando i partigiani scesero nei paesi e riuscirono a liberarli, anticipando gli americani.
Dopo Tovena, don Giuseppe si trasferirà a Orsago dove scrisse, qualche anno dopo nel 1974, le sue memorie. Il tema che emerge fin dalle prime righe è il rapporto con i rappresentanti, sul territorio, del Partito Nazionale del Fascismo il quale teneva d’occhio il sacerdote quando organizzava incontri e laboratori per i ragazzi al tempo “illegali”. Il secondo tema e la presenza sul territorio del Movimento Partigiano, la sua affermazione, e la questione della scelta che sono stati chiamati a fare i giovani. Resta innegabile la simpatia per la Brigata Piave o “Val Piave” come la chiamava lui.
Le sue Memorie
Le sue Memorie, pubblicate per la prima volta dalla curatrice Annamaria Gazzarin a distanza di quasi 50 anni dalla loro prima stesura, sono centrate soprattutto nei primi anni del suo apostolato, e cioè dal 1933 al 1945. Esse si caratterizzano fin dalle prime righe per la loro acutezza, lo stile antiretorico e la capacità di raccontare le cose così come sono successe. “Molti infatti hanno raccontato l’esperienza della Resistenza, della guerra civile e della Liberazione; pochi sono coloro che sono riusciti a non farsi contagiare dall’euforia della sconfitta del Fascismo e dalla retorica della vittoria”, spiega il direttore Pier Paolo Brescacin dopo aver letto e accettato la collaborazione per la pubblicazione.
“Quando ho trovato queste pagine tra i documenti conservati di mio padre – spiega Gazzarin – ho pensato subito che dovessero essere riconosciute, in modo che non andasse persa la sua memoria. Il libro nasce dalla volontà di dare una forma di riconoscenza, seppur postuma, a questo sacerdote che si è tenuto umano, anche durante la guerra, ponendosi come un vero pastore della chiesa. Il secondo motivo del perché sono andata avanti è legato al fatto che, leggendo e rileggendo le memorie, emerge la sofferenza della popolazione civile, il dolore, le difficoltà e la paura delle persone comuni.
Erano pagine, quindi, che devono essere lette come un frammento di microstoria vissuta quotidianamente nella comunità di Tovena. Pagine per comprendere meglio i grandi eventi e farci evitare delle semplici interpretazioni negazioniste. Ho conosciuto personalmente don Giuseppe, ricordi di bambina incantata e intimorita, ma ho compreso il suo spessore portando avanti questa ricerca e ricostruendo le diverse fasi della vita. Leggendo i suoi iscritti mi sono resa conto che eravamo di fronte non a una semplice autorità religiosa ma ad una figura che aveva a cuore la sua gente” conclude Gazzarin.
“Come Istituto storico della Resistenza abbiamo voluto farci carico della pubblicazione perché questo lavoro guarda alla storia di quegli anni in modo diverso e inedito rispetto agli approcci tradizionali – spiega il direttore Brescacin -. Ci sono molti modi per parlare di Resistenza: con Pathos ed emozione, concentrandoci solamente sull’euforia del fascismo e sulla retorica della creazione di una nuova realtà fondata sulla Democrazia; oppure guardando quella zona grigia che segnò la quotidianità dei cittadini, della gente comune del nostro territorio. La professoressa Gazzarin ha imboccato questa seconda via dando vita ad un resoconto scarno e puntuale che illustra i principali avvenimenti.
Don Giuseppe Tonon – continua – appartiene a quel piccolissimo gruppo di narratori che non hanno mai dimenticato l’altra faccia dolente di quei venti mesi che vanno sotto il nome di Resistenza: il paese occupato dai nazifascisti, la rinascita del Fascismo nelle vesti della nuova Repubblica di Salò, stato collaborazionista dei tedeschi; la nascita del movimento partigiano e la conseguente guerra civile che vide contrapposti cittadini appartenenti alla stessa comunità nazionale; un uso della violenza diffuso, da entrambe le parti, anche perché mancavano confini chiari e netti tra i contendenti. L’avversario spesso era non un soldato anonimo che parlava una lingua sconosciuta, ma il vicino di casa, il compagno di scuola, quello insomma che fino a poco tempo prima si incontrava ogni giorno nel tempo libero o all’osteria o si frequentava assiduamente.
E infine una popolazione civile che venne a trovarsi fra l’incudine e il martello, incapace di difendersi, che non capiva e spesso non comprendeva le ragioni di quello scontro tra fratelli. Per non parlare poi di quell’infinito coacervo di rancori, frustrazioni, promesse mancate, incapacità di ritornare alla normalità, la cui ombra si prolungherà anche nel periodo di pace nell’immediato dopoguerra, ingenerando un clima di rivincita e rivalsa difficili da contenere” ha aggiunto Brescacin.
Questi, dunque, sono i motivi che hanno indotto Annamaria Gazzarin a riproporre al pubblico queste pagine e l’Istituto della Resistenza di Vittorio Veneto a pubblicarlo, testi che riportano alla dura realtà di quei giorni e inducono il lettore a meditare sugli eventi e a riflettere sulla trama di quegli eventi. Partendo dalla prospettiva delle classi subalterne, insieme alla percezione e alla tonalità emotiva con cui quei momenti sono stati vissuti.
“Una cosa è leggere sui libri la partecipazione alla guerra, i momenti duri e drammatici di chi la visse in prima persona al fronte, le conseguenze che ebbe sulla popolazione civile, e un’altra è sentirla dalla viva voce dei protagonisti, con tutto il carico di emotività che tale operazione comporta, la ricchezza dei singoli dettagli, l’umanità di cui essa è connotata. È quasi un calarsi nel contesto storico di allora, un essere presenti e vivere con la persona i fatti e le esperienze di cui è stata testimone” ha concluso Brescacin.
“Don Giuseppe Tonon può non essere piaciuto a tutti per la sua intransigenza con il mondo femminile o il suo schieramento netto contro il fascismo, ma aveva a cuore i suoi parrocchiani, quindi dobbiamo dire un grande grazie a don Giuseppe. Ringrazio anche i miei genitori che mi hanno insegnato il valore della riconoscenza” chiosa Gazzarin.
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