Il giro del mondo in ottanta… grammi: l’idea del locale trevigiano ispirata al romanzo di Verne

Alcuni piatti del “Bloom” in via San liberale

Come direbbe un buon intenditore: “Vuoi farmi conoscere la tua città? Portami a mangiare”. Locali e ristoranti la dicono lunga sul luogo in cui si trovano. Questi rispecchiano l’anima più profonda di una città, ne riflettono l’evoluzione nel tempo, sono espressione del suo livello di contaminazione e dinamismo. 

Bloom Treviso

Ecco che il “Bloom” in via San liberale, caffè e co-working, ci racconta di una Treviso sempre più internazionale, dove alle osterie di tradizione si affiancano locali che calzerebbero a pennello lungo le high street di Londra o New York. Dal brunch ad un bagel a volo, passando per smoothies, light lunch salutari, fino al tè pomeridiano addolcito da un roll alla cannella, il “Bloom” cavalca le tendenze del gusto moderno che può dirsi sempre più cosmopolita, curioso verso l’ingrediente esotico, attento alla salubrità e alla sostenibilità del prodotto. Ma non conta solo “cosa” si mangia. Il contesto in cui si consuma un pasto è altrettanto importante. 

Anche l’italiano del caffè ristretto al bancone inizia ad apprezzare sempre più un luogo dove è possibile trascorrere delle ore, dove se tiri fuori il pc dallo zaino o chiedi dov’è la presa per ricaricare il cellulare non ti guarderanno come un “occupatore”. Per quanto rispetto ad altri paesi il bar e co-working sia una formula ancora poco diffusa, nelle città culturalmente più vivaci (ed ecco che Treviso si è offerta come ottima candidata), questo tipo di locale inizia a prendere piede. Non sorprende che il 60% della clientela del Bloom sia ancora composta da stranieri in città per business, studio o per diletto. Ma tutto lascia pensare che nei prossimi anni la percentuale di “locals” possa aumentare.

“Il giro del mondo in 80 grammi”: quando i piatti diventano mappe 

“Tutto il personale deve parlare fluentemente inglese (non quello scolastico) e almeno una seconda lingua quale francese, tedesco o spagnolo” racconta Davide Fabris, il titolare, un imprenditore con la testa piena di idee. Quella di proporre una serie di cene tematiche – senza nulla togliere alla vocazione prettamente diurna del locale – nasce dall’intenzione di far vivere il “Bloom” anche di sera, per qualche limitata occasione. 

È così che da giovedì scorso è iniziato “Il giro del mondo in ottanta grammi”, un ciclo di dieci cene a tema (in programma ogni primo e terzo giovedì del mese) ispirate ai paesi toccati da Phileas Fogg nel viaggio raccontato da Jules Verne nel 1872. Il progetto si è sviluppato sotto l’egida di chef Matteo Bianchin che ha contribuito sfoderando la sua formazione compiuta all’estero.

Davide Fabris

Chiunque abbia un po’ di esperienza di cene a tema, saprà che il rischio scadere nel “kitsch” o nel “vorrei ma non posso” è dietro l’angolo. Capita infatti di trovarsi di fronte ad improbabili rivisitazioni di piatti la cui sostanza non è all’altezza della forma. Al contrario quando chi ci propone un viaggio culinario investe cura, ricerca e impegno, ecco che la probabilità di vivere un’esperienza gastronomica appagante aumenta. A volta accade anche l’opposto ovvero che il “troppo” impegno di chi organizza produca delle cene notevoli per qualità, ma presentate in modo affettato, poco spontaneo a scapito di quella giusta dose di divertimento che dovrebbe accompagnare lo stare a tavola. Insomma, la buona riuscita di una cena a tema sta nell’equilibrio fra vari “ingredienti”, quelli che Davide, chef Bianchin e la loro squadra hanno saputo bilanciare con maestria. Fare le cose per bene richiede tempo e dal bancone non nascondono di aver lavorato mesi al progetto. 

Londra – Parigi – Lione in tre piatti (e un drink)

Proprio come quello di Phileas Fogg, anche il giro del mondo in 80 grammi inizia da Londra, ma non prima di un drink a tema. French ’75 si rivela un gradevolissimo pre-dinner. La spinta del gin con il succo di limone potrebbe non essere cosa per tutti, ma a bilanciare ci sono champagne e un tocco di sciroppo di zucchero, uniti alla scelta del fluttino (azzeccata), tanto che si rischia di arrivare alla fine con la voglia di berne un altro. Marco Marton, giovane barman, ne dà una piccola spiegazione prima di servirlo ai commensali. La storia del French ’75 è curiosa. L’origine del nome è incerta, tuttavia, l’opzione più plausibile è quella che il suo inventore, Harry MacElhone dell’Harry’s American Bar di Parigi, lo abbia battezzato così nel 1915 in riferimento all’Howitzer 75mm, un’arma in dotazione alla fanteria francese. “È un drink complesso, diretto, dalle note sour che tanto trovano unione con le bollicine” spiega Marton.

Da Londra con amore e “Fish and Chips” 

Si parte dunque da Londra con un “fish and chips” che qui prende la forma di un piatto ricco di sfumature. Proposto in modo semplice, al primo sguardo potrebbe mancare un guizzo di colore, ma l’assenza di foglioline decorative anni ’80 o salse che in nome della decorazione sbilanciano i sapori è alquanto apprezzabile. Il cubik di merluzzo si presenta con una crosticina croccante e asciutta, che crea un gustoso contrasto con il cuore tenero e succoso del filetto, saporito ma non eccessivamente sapido (da cui la difficoltà di cucinare il merluzzo). Alla base c’è una crema fredda di patate arrostite, che aggiunge una nota dolce e infine affumicata, tanto da ricordare lo speck (scopriamo infatti che è stata arrostita usando il legno di faggio). 

Cubik di merluzzo su crema fredda di patate

La boeuf bourguignon: un piatto iconico della cucina francese 

Dal porto di Dover, accompagnato dal suo fido maggiordomo Passpartout, Phileas Fogg approdò a Calais, sulle coste francesi. Ed ecco che è il momento della portata principale, la vera rock star della serata: la boeuf bourguignon. Anche in questo caso il piatto viene accompagnato dalla descrizione di chef Bianchin che va a misurarsi con un piatto “sacro” alla cucina francese, di cui non basta rispettare la ricetta: l’abilità sta nel saperne restituire l’anima. Gli intramezzi descrittivi puntano su dettagli curiosi, durano il giusto e girano alla larga da digressioni autocelebrative. Insomma, si ascoltano volentieri e non annoiano, anzi. È bene spendere due parole a questo punto anche sul contesto, ricercato nei dettagli, ma informale nel complesso, arioso ma non dispersivo, moderno ma dal retrogusto vintage. La disposizione delle luci e il sottofondo di musica francese (nulla è lasciato al caso) contribuiscono all’atmosfera rilassante e allegra. Una nota di merito va anche al personale, una squadra giovane e affiatata, che ha fatto proprio il progetto, da cui la facilità di coinvolgere nell’esperienza chi siede a tavola. 

Chef Matteo Bianchin

Ma torniamo alla protagonista. Nata come piatto povero nelle campagne francesi, grazie a chef Auguste Escoffier la boeuf bourguignon nei primi del Novecento divenne un must nelle tavole dell’alta società parigina. La sua fama mondiale tuttavia si deve a Julia Child – iconica la commedia romantica “Julie & Julia” con Meryl Streep – cuoca e autrice che, sintetizzando al massimo, fece scoprire la cucina francese (e il piacere di stare a tavola) agli americani. Chi avrebbe mai pensato di assaggiare una grande boeuf bourguignon a Treviso? In una cocottina da 80 grammi Matteo Bianchin ha reso onore a questo pilastro della gastronomia francese.

La boeuf bourguignone

Lo stufato di manzo cotto per sei ore a bassa temperatura è tenerissimo. La cipollina e il fungo trifolato al burro non sono da meno. Il sapore è avvolgente, il fondo non è eccessivamente liquido, né troppo denso, di colore bruno acceso. Il risultato è descrivibile con una parola inglese – stando in tema – che non ha la degna traduzione in italiano: “hearty” che sta per un piatto “di cuore”, che sa di calore famigliare, di autunno e di camini che scoppiettano. La boeuf bourguignon è proprio questo: un cibo delizioso, generoso che deve dare gioia. Rimane un po’ di sugo, grasso e saporito di carne e burro, nella cocottina: è il momento ideale per provare i panini alla curcuma e cimentarsi in un’accurata scarpetta. E qui veniamo alla carta dei vini. La lista prevede tre scelte: un Bordeaux, un Phigaia di produzione locale e un Cabernet. La scelta più ovvia è il Bordeaux e c’era da aspettarsi che andasse a ruba. Purtoppo però non ce n’è a sufficienza e finiamo per accaparraci l’ultimo calice e condividerlo in due. Poco male, si risolve optando per un altro vino sulla carta composta da tre bollicine, tre bianchi e tre rossi fra francesi e italiani. 

La Praluline

Arrivati a Lione, è l’ora della Praluline

La tappa finale di questo (primo) viaggio è Lione, la capitale gastronomica della Francia. Il dessert prevede la Praluline, dolce tipico lionese. Il nome deriva dal “padre” di questa torta, Auguste Pralus, che nel 1955 coniò la ricetta di questa brioche tempestata di praline rosa. La versione di Bianchin della Praluline si lascia apprezzare per la pasta ricca, compatta e umida al punto giusto, per la scelta di mantenere le nocciole (Piemontesi) intere, e per un’aggiunta di crema inglese, un guizzo divertente che richiama il tema della serata: un viaggio in tre piatti iniziato a Londra che dal 5 ottobre proseguirà alla volta dell’Europa del sud. Per una volta non si dovranno prenotare biglietti o fare file al check-in: posate e tovagliolo basteranno per raggiungere destinazioni lontane.

(Foto: Qdpnews.it – Bloom)
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