Molto spesso sono letteralmente una sorpresa, inattesa, imprevista, che viaggia pure in solitaria: gli auguri di buon onomastico rappresentano ormai un fatto raro, una consuetudine originale, una prassi certamente non comune per tante persone.
Non più diffusa, sicuramente, in tante famiglie e in tanti ambienti, ma al tempo stesso molto gradita, come si evince in molti casi dalle considerazioni dei diretti interessati, alquanto stupiti, ma molto felici. I festeggiati, insomma, coloro che ricevono il dono degli auguri in questa circostanza per il loro nome di battesimo, reagiscono con la gioia e l’orgoglio di essere una sorta di privilegiati, perché comprendono in questo modo, in maniera inequivocabile, di figurare nel pensiero e nel ricordo di qualcuno che ha segnato in calendario la ricorrenza del proprio nome.
Onomastico, dunque, come tecnica, arte del denominare, nell’etimologia della parola. “Un buon nome è una grande gemma”: questa citazione ci è stata tramandata dal noto poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Schiller, autore del famoso “Inno alla gioia”. In effetti, molte famiglie oggi pensano molto al nome da dare al figlio o alla figlia prima della nascita.
Secondo gli insegnamenti della Chiesa, in particolare, il nome ha un significato speciale per un bambino battezzato: lo fa uscire dall’anonimato e lo distingue dagli altri. Già nelle prime congregazioni cristiane, era un’usanza praticata quella di attribuire ai battezzandi il nome di santi o anche di angeli. Nel Medioevo, poi, al neonato veniva dato il nome del santo del giorno stesso in cui veniva impartito ìl primo sacramento dell’iniziazione cristiana, in una comunità ecclesiale che ancor oggi iscrive nell’apposito registro parrocchiale la data del battesimo, non quella della nascita. Come a dire: è il nome a fare la differenza.
Eppure, come affermato sopra, l’abitudine di celebrare l’onomastico non è da tutti, e a tutte le latitudini avvertita, e nei giovani va perdendosi quasi del tutto, nonostante questa festa possa assumere il valore di compleanno “sociale”, una sorta di compleanno “pubblico” che reca in sé importanti implicazioni.
Mentre il compleanno “anagrafico” si riconduce alla sfera del privato, alla celebrazione dell’evento ristretta ad un numero limitato di persone, l’onomastico sancisce il riconoscimento “dell’altro” all’interno di un orizzonte di relazioni più ampio. Gli auguri, in questa particolare circostanza, recano un messaggio il cui significato potrebbe essere così espresso: “Mi stai a cuore, e anche se non so quando sei nato, non essendo nel novero dei tuoi legami più intimi, troverò nell’onomastico l’occasione utile per dimostrarti, con un gesto di affetto, che ti penso, che sei importante”.
Ma l’onomastico non serve solo ad esprimere un riconoscimento di tipo unidirezionale: a partire dall’atto di “riconoscimento dell’altro” – il destinatario degli auguri – l’onomastico restituisce, in un orizzonte di senso autenticamente relazionale, anche una ricaduta sul “riconoscimento del sé”, per colui che gli auguri li porge. E qui non si tratta tanto di ragionare sui santi e sui beati di matrice cristiana convincenti per l’opzione, o sul richiamo di nomi illustri, storici o importanti, che possono determinare la scelta dei genitori – come si può dedurre facilmente da calendari, agende o internet – con papà e mamme che oggi si dimostrano sensibili anche a suggestioni tratte dall’attualità, o a elementi affettivi, o del tutto individuali o di coppia. Qui si tratta, in verità, di mettere in rilievo come il tema basilare sia quello dell’essere “chiamati per nome”, in una logica di nuovo umanesimo attento ai volti e alle persone, per cui anche l’augurio di “Buon onomastico!” viene inserito in una logica di ritrovata attenzione per l’assoluta originalità di ciascuno, l’irripetibilità delle storie dei singoli, l’essenza del contribuito di ciascuno alla vita di tutti.
Il valore culturale ed umano di questa festa può riconoscersi infatti nell’opportunità che offre di facilitare lo scambio di emozioni di segno positivo, nel valorizzare il ruolo di ciascuno, nel sollecitare comportamenti di attenzione e generosità, nel contribuire alla formazione di un pensiero relazionale ed empatico, atteggiamenti tutti che in questa fase sembrano in verità sempre più difficili. Possiamo ribadire che determinate tradizioni, alcune squisite usanze che arrivano dalle generazioni che ci hanno preceduto, come quella dell’onomastico, sono a rischio di estinzione, specialmente fra le nuove generazioni. Infatti, l’uso pervasivo delle tecnologie e la spersonalizzazione spinta dei rapporti reali tra le persone hanno portato le nostre ragazze e i nostri ragazzi a ripiegare su se stessi, visitando relazioni prevalentemente virtuali, spesso unidirezionali, comunque non favorevoli allo sviluppo della capacità di riconoscimento dell’altro e nell’altro.
Allora si avverte profondamente il bisogno di ricercare, in ogni sollecitazione culturale, sociale ed educativa a nostra disposizione, compreso nel recupero di tradizioni popolari locali, a volte accantonate in nome della modernità e della apertura a falsi modelli culturali vuoti e pervasivi, l’opportunità di tenere acceso un dialogo che possa arricchire, in un senso profondamente aperto e inclusivo, la vita dei singoli e le relazioni interpersonali. Tutto questo, anche al fine di scongiurare dimensioni di solitudine e di isolamento dal contesto sociale, più che mai dannose nel contesto attuale.
Rendiamo omaggio ai nomi, dunque, perché anche questo aiuterà a cambiare in meglio la nostra società. Dalle cose piccole, dai gesti quotidiani semplici, ma di valore e significato, infatti, possono nascere le cose più belle e più grandi.
(Foto: Freepik).
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