La nuova crisi immobiliare cinese spaventa l’Occidente che teme un effetto domino con pesanti ripercussioni sull’economia dei Paesi Occidentali.
Per capire meglio lo stato di salute del colosso asiatico, Qdpnews.it – Quotidiano del Piave ha voluto intervistare il celebre sinologo trevigiano Adriano Màdaro.
Qual è l’attuale situazione economica della Cina?
La Cina sta nel mondo e quindi subisce o provoca problematiche tipiche della globalizzazione.
Da oltre vent’anni, ciò che accade in Cina ha talvolta ricadute sul resto del pianeta, ma anche ciò che accade nel mondo si riversa poi sulla Cina modificandone (in parte) le risposte.
Quindi la situazione economica attuale del mercato e della società cinese è in gran parte derivante dalla situazione globale, pur con importanti “distinguo” che riguardano la politica di governance del Paese.
Modificando nel suo interesse politico l’ottica economica e finanziaria orientate dalla “esperienza socialista” – che auspica profondi interventi dello Stato nel “raddrizzamento” della pura ideologica capitalista – il governo di Pechino finora è stato in grado di monitorare i fenomeni economico-finanziari con interventi invasivi e pesanti, ma risolutori.
Gli strascichi del Covid
Il Covid 19 ha lasciato sul terreno problematiche inedite che la Cina ha dovuto risolvere pressoché da sola, dato l'”accerchiamento” ideologico operato dagli Stati Uniti e dagli Alleati occidentali.
Tre anni di sostanziale chiusura del mercato e il progressivo raffreddamento dei rapporti politici, in gran parte dovuti al “caso Taiwan“, hanno costretto la Cina a “rivedere” le teorizzazioni dei fautori del “socialismo alla cinese” che ha dimostrato di avere esaurito la sua carica emotiva.
La perdita di almeno cinque punti del Pil in rapporto a quanto era abituata a incassare Pechino e il rallentamento dell’economia reale, con l’aumento della disoccupazione giovanile, rimettono in moto la ricerca di soluzioni diverse da quelle del mondo speculativo occidentale a traino americano.
Quali ripercussioni ci potrebbero essere per l’Italia e per l’Occidente rispetto alla crisi immobiliare cinese?
Quanto alla cosiddetta “bolla immobiliare“, che tanto clamore ha diffuso in Occidente, è un tipico esempio di “scontro” tra socialismo e capitalismo.
Dalla fine degli anni ’90 la Cina ha voluto sperimentare il risultato economico che ne sarebbe derivato dall’introduzione nella sua economia della “scienza finanziaria” occidentale, aprendo alle speculazioni immobiliari di gruppi privati.
Dopo un apparente successo con l’esplosione del mercato immobiliare un po’ ovunque, ma soprattutto nelle grandi metropoli partendo da Shanghai, l’esperimento è clamorosamente deragliato.
Sono immediatamente cadute le protezioni governative, il modello capitalistico finanziario occidentale è precipitato in un abisso di debiti che i gruppi privati (300 miliardi di dollari solo la China Evergrande Group) non sono in grado di pagare, mettendo a repentaglio il mondo dei mutui e in allarme quello degli investitori, soprattutto internazionali.
A questo punto potrebbero essere coinvolte delle banche o delle finanziarie di grande spessore anche italiane, ma finora non si hanno notizie.
Tuttavia, non credo che gruppi del nostro Paese siano coinvolti in operazioni così rischiose.
Infatti, era abbastanza chiaro fin dall’inizio (all’epoca del boom edilizio di trent’anni fa) che per la Cina questo sarebbe stato un “esperimento” rischioso; e forse c’è anche da sperare che all’epoca, non avendo ancora confidenza con il mercato cinese, i nostri esperti finanziari abbiano fatto investimenti moderati di assaggio.
Il mio sospetto è che il governo cinese lasci bollire ancora per un po’ il calderone edilizio e addirittura ne possa favorire la crisi totale, salvando in extremis tutti i candidati al fallimento rilevando il patrimonio edilizio esistente ad un prezzo di fallimento, così da incassare da un lato milioni e milioni di metri cubi di appartamenti a prezzi fortemente calmierati da vendere o assegnare agli sprovveduti firmatari di mutui o a chi ha realmente bisogno di un’abitazione.
In questo modo il “Governo-Robin Hood” farebbe un doppio affare: economico-finanziario e di risposta sociale ai suoi cittadini.
Dall’ultima riunione dei Paesi del Brics sembra essere emersa la “freddezza” nei rapporti tra India e Cina. Come commenta la “rivalità” tra i due Paesi?
È la freddezza di due grandi Potenze che hanno il problema di essere confinanti.
Di più il confine con la Cina corre tra India, Sikkim, Bhutan, Nepal, Ladakh e nel XIX secolo la Gran Bretagna lo fece “correggere” da Henry MacMahon (diplomatico inglese in servizio nella Colonia indiana) “regalando” all’India la regione dell’Uttar Pradesh e territori himalayani lungo un confine di quasi 900 chilometri, regioni tuttora reclamate dalla Cina e che nel 1962 portarono a un breve conflitto tra i due colossi asiatici.
Queste le ragioni storiche causate dagli inglesi. Ora ci sono anche questioni di competizione tecnologica e di primati tra potenze.
Tuttavia, il pragmatismo cinese, di fronte alla possibilità di rafforzare il progetto Brics allargandolo ad altre venti nazioni, può fare accantonare le antiche ruggini coloniali.
Non a caso, il leader più importante del nuovo gruppo politico internazionale che intende cambiare l’ordine mondiale è il presidente cinese Xi Jinping. Tra l’altro abile mediatore che sa posizionare la Cina nella sua giusta dignità.
(Foto: Adriano Màdaro).
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