La scuola come la conosciamo oggi è cambiata notevolmente rispetto all’idea che ne avevano i nostri nonni, ma cos’altro è mutato oltre ai metodi e alla concezione di apprendimento?
Era il 1996 quando la pedagogista Egle Becchi, nel suo secondo volume della sua “Storia dell’infanzia”, dava per la prima volta spazio alle “cose di scuola” analizzandole nel corso della storia, studiando sia l’organizzazione degli spazi, sia l’arredo dell’aula fatto di banchi, lavagne e mappamondi sia il “corredo dello scolaro” che contava di astuccio penna quaderno e libro.
In passato erano poi obbligatorie in tutta Italia una serie di misure che oggi potrebbero scatenare discussioni etiche e religiose: “Banchi in numero sufficiente per tutti gli allievi; tavola con cassetto a chiave e seggiola per il maestro; armadio chiuso con chiave per riporre i libri e scritti; stufa pel riscaldamento della stanza; calamaio per il maestro e calamai infissi per gli allievi; un quadro rappresentante le unità fondamentali e le misure effettive del sistema metrico decimale; un crocifisso; un ritratto del Re”.
È con questo studio che si comprende come il “Fare scuola” fosse tutt’altra cosa rispetto a quello che sperimentano oggi gli studenti moderni, a partire dagli oggetti a loro disposizione.
Oggi possiamo affidarci ai ricordi dei nostri nonni e alle fotografie, strumento prezioso per ricostruire “dal basso” l’immagine della scuola, in tutti i suoi cambiamenti.
Scorrendo indietro nel tempo, si nota che a metà Ottocento i banchi delle elementari erano qualcosa di molto simile alle panche delle chiese: a posti multipli, con leggio inclinato e sedile unico, potevano infatti contenere fino a dieci alunni.
Scomodi e pesanti, vennero sostituiti da vari modelli fino ad arrivare al 1888, quando il Ministero stabilì le norme a cui dovevano attenersi tutti i Comuni che intendevano ricorrere a prestiti statali: i banchi dell’asilo e delle elementari a due posti mentre quelli delle scuole secondarie e tecniche a non più di tre.
Questo per garantire ai piccoli libertà nei movimenti e comodità, ma anche abbastanza distanza l’uno dall’altro per tutelare l’igiene. Nonostante ciò, rimanevano ben diversi da quelli di oggi e nelle aule odierne creerebbero curiosità, in quanto la seduta e il leggio risultavano uniti: bisognerà aspettare il nuovo secolo per rivoluzionare quest’aspetto.
Proprio l’igiene sarà il tema centrale dei primi del ‘900, quando il batteriologo Gorini formula le “regole del banco igienico”: ora andavano costruiti tutelando maggiormente le condizioni degli studenti con misure ufficiali e in modo che gli alunni si potessero sedere senza curvare la schiena e che si potessero alzare senza sforzo.
Negli anni ‘40-’50 si sviluppa il periodo più creativo e riformista in tema scolastico: mentre igienisti e pedagoghi si prodigavano nel decretare che il banco ideale doveva essere a un posto solo per lasciare più libertà al bimbo, i progettisti si sbizzarrivano con postazioni sempre più originali, come l’affascinante modello a zaino che qualche nonno di oggi forse ricorderà: a un posto sì, ma pieghevole in modo che l’alunno potesse addirittura portarselo sulle spalle per frequentare lezioni all’aperto.
Le cose cambiarono definitivamente negli anni ’60, con la diffusione del meno romantico acciaio, che ci riporta finalmente alla memoria forme più familiari: si studiarono banchi singoli con la sedia staccata, gambe metalliche, sotto il piano di lavoro c’era una mensola per riporre libri e quaderni.
Alcuni erano anche dotati di un gancio laterale, dove appendere la cartella: un’immagine che scatenerà indubbiamente i ricordi di molti adulti di oggi e che forse sarà l’aggancio per riflettere su quanto sia cambiato, in meglio o in peggio lo dirà ciascuno di noi, il mondo dell’insegnamento in un paio di generazioni.
(Fonte: Alice Zaccaron © Qdpnews.it).
(Foto: Web).
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