Oggi è la Giornata delle Emoji, le faccine “social”: e ora un pollice in su equivale alla firma di un contratto (non in Italia)

Alzi la mano chi non conosce o non utilizza quasi quotidianamente le emoji, ovvero le numerose faccine che affollano le chat di WhatsApp e della comunicazione sui social network. Il loro utilizzo è divenuto ormai una consuetudine per la scrittura di commenti e di messaggi.

Un utilizzo talmente abitudinario, e a tratti smodato, che qualcuno lancia l’allarme sul fatto che possa compromettere la capacità di esprimere il proprio stato d’animo semplicemente a parole.

La questione non è più così semplice, tanto che alcune aziende considerano un semplice pollice all’insù come un metodo accettabile per rispondere a determinate questioni professionali se non, addirittura, per firmare un contratto.

È quanto accaduto a un agricoltore canadese, condannato a pagare decine di migliaia di dollari a un’azienda con cui era in trattativa. Quest’ultima aveva inviato all’uomo un contratto per la fornitura di un certo quantitativo di cereali, tramite una mail in cui si richiedeva di confermare.

L’agricoltore ha risposto alla mail con il pollice alzato pensando, in questa maniera, semplicemente di confermare la ricezione della mail. Ma così non è stato.

L’uomo è stato infatti trascinato in tribunale dall’azienda in questione la quale, non vedendo rispettato il contratto, l’ha citato per danni. E il giudice si è schierato da parte della ditta, sostenendo che la tecnologia fa passi in avanti e, quindi, di conseguenza anche i tribunali devono stare al passo con tali cambiamenti: in sostanza, un semplice pollice alzato può equivalere a una firma a tutti gli effetti.

Quindi, attenzione all’utilizzo degli emoji nei contesti lavorativi, perché potrebbero nascondere un’insidia, anche se al momento in Italia non esisterebbe una giurisprudenza al riguardo.

Quando sono nati gli emoji?

La loro origine risale a oltre 30 anni fa e non sono altro che un’evoluzione degli emoticon, ovvero le faccine stilizzate, composte da due punti, un trattino e una parentesi finale (aperta o chiusa, a seconda dello stato d’animo da esprimere). Il termine “emoji” deriva dall’associazione di due caratteri giapponesi, che significano rispettivamente “immagine” e “carattere”.

Nel tempo sono divenuti uno strumento universale per esprimere e rendere più comprensibile uno stato d’animo e il tono di un messaggio. Uno strumento, quindi, che travalica ogni lingua e differenza di linguaggio.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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