La storia di mamma Raffaella raccontata nell’agenda “Doppiotempo”: il progetto del Comune promuove la parità di genere

“Non ti lascio sola”: è questo il titolo della storia, una delle tante e profonde storie di vita raccolte nell’agenda “Doppiotempo” 2023 pubblicata dal Comune di Treviso. L’amministrazione, in collaborazione con la commissione parti opportunità e l’organizzazione “Spazio donna” di Treviso ha promosso l’iniziativa dedicata alla parità di genere. Il progetto ha preso la forma di un’agenda, oggetto di uso quotidiano, fra quelli strettamente personali, che in questo caso vuole narrare una storia comune, come quella di Raffaella.

Raffaella è imprenditrice nel settore del benessere. Generazione baby boomers, famiglia con cinque figli, azienda famigliare, una vita di studi, feste, amici, sport, matrimonio felice e all’età giusta, nessun pensiero economico. Sposata con Manuel (e poi separata), ha due figlie: Martina, di 28 anni, e Benedetta, di 26, con una diagnosi di ritardo cognitivo e “border” rispetto al disturbo dello spettro autistico.

“Non ti lascio sola”, il racconto di una mamma

Quando ho avuto Martina, la maggiore, nella fase crescente del matrimonio, mi sentivo quasi ‘immortale’, percepivo una felicità piena e mi sembrava di essere in grado di fare tutto. Lavoro, accudimento, casa. Poi è arrivata Benedetta e ho avvertito fin da subito un senso di malessere che faccio davvero fatica a spiegare pur a distanza di tanti anni. La gravidanza non era ottima come la prima, le nausee non mancavano, poi – retaggio di non so quale cultura – la delusione (assurda) per il ‘maschio mancato’. Nella mia famiglia eravamo tre femmine e due maschi, quindi io mi sono sempre immaginata e sognata con una femmina e un maschio. Non so quale chimica si sia creata, ma con Benedetta l’attaccamento emotivo è stato molto diverso fin da subito, molto più razionale. Il ménage famigliare non era difficile, avevo la fortuna di poter contare su un aiuto domestico e su mia suocera, con me come una mamma, un pilastro fondante della mia vita e della nostra famiglia, anche oggi.

Ci siamo resi conto, fin da subito, che Benedetta aveva bisogno di stimoli e così abbiamo deciso di iscriverla al nido pur avendo l’appoggio in casa. All’inizio è stato difficile orientarsi, la bambina cresceva fisicamente bene, i bilanci di salute erano apparentemente “normali”. Per il pediatra non dovevamo fissarci sul ritardo cognitivo o di linguaggio perché “ogni bambino ha i suoi tempi”. Poi la doccia fredda è arrivata, in un tranquillo pomeriggio, al telefono. La maestra del nido mi ha chiamata per dirmi che “aveva bisogno di parlarmi” e per chiedermi se “avevo mai pensato che potesse essere autistica”. Mi è crollato il mondo addosso e da lì è iniziato un percorso di alti e bassi che prosegue ancor oggi, senza una vera diagnosi, con tante difficoltà ma anche gioie, nuove consapevolezze e voglia di farcela“.

Il percorso di Benedetta è iniziato con il primo psicologo, a Spresiano, per passare attraverso il Burlo di Trieste e molte altre strutture psicosociosanitarie dislocate ovunque, sempre alla ricerca di capire cosa non funzionasse.

“In nessuna di queste – ricorda Raffaella – abbiamo trovato risposte chiare, né tanto meno soluzioni. Le soluzioni ce le siamo trovate in autonomia e le abbiamo anche finanziate, a cominciare dagli insegnanti di sostegno. Per questo mi considero fortunata pur nella sfortuna della disabilità e spesso mi chiedo come avrei potuto fare se non avessi avuto le risorse adeguate. È una strada difficile, che ogni giorno crea imprevisti e che ti rende resiliente.

La “quadra” l’abbiamo trovata all’estero, a Tel Aviv, dove abbiamo iniziato una terapia famigliare stanziale con un’équipe di esperti e abbiamo appreso un metodo particolare che ci ha consentito di affrontare l’intero percorso scolastico e di crescita della bambina. Abbiamo imparato a gestire la sua rabbia cercando di capire i segreti della sua mente proponendole attività semplici e ludiche. L’obiettivo era sopravvivere e farla crescere serenamente nei limiti del possibile. Ci sono stati alti e bassi, tanti viaggi e innumerevoli controlli e consulenze, molte spese economiche, anni belli e anni difficili. La collaborazione coi Servizi Sociali e con la scuola non è sempre stata positiva ma ricordo con piacere gli anni delle medie, quando siamo riusciti a mettere in piedi un micro-laboratorio di panificazione e Benedetta era diventata la regina delle merende: una gioia per lei e un senso nuovo del suo stare a scuola.

Ogni risultato era una conquista, ogni giorno si sperimentava. Poi abbiamo assunto una maestra steineriana che l’ha accompagnata per diversi anni fino al percorso di professionalizzazione dei CFP. Con la crescita e il superamento dell’adolescenza, ho diversificato le attività e abbiamo provato vari sport, dal freeclimbing al basket. La stabilità però è arrivata con l’Associazione “Il tuo sorriso”, che ho cercato appositamente: ci hanno accolto col cuore e hanno accettato di costruire non un qualsiasi progetto, ma “il progetto” specifico attorno a questa disabilità. Oggi questa struttura dà un senso e forza alle sue giornate di ragazza quasi adulta. Devo ringraziare Catia Grespan, la fondatrice di questa Associazione, che mi ha aperto porte e cuore e che ha fin da subito creduto nel progetto e questo mi ha permesso di inserirla rapidamente nel percorso giusto”.

Oggi Benedetta passa le sue giornate in Associazione, svolge le sue attività, pratica il basket, trascorre regolarmente alcuni weekend e qualche vacanza anche col papà, è aiutata dalla nonna, ha l’affetto della sorella e dei tanti cugini. Ma non può stare sola, neanche un attimo.

“Ho provato a lasciare il lavoro per dedicarmi completamente a lei ma non ce la facevo. Ci ho messo anni per liberarmi dal senso di colpa che mi perseguitava attribuendomi la causa del disturbo e finalmente sono riuscita a mantenere il lavoro, gioco a golf, ho conservato delle buone amicizie e come donna non mi trascuro, col mio ex marito siamo in ottimi rapporti e ci supporta. Ho recuperato una normalità e me la tengo stretta, anche se so che non la posso lasciare sola. Non mi faccio più domande sul perché mi sia capitato, credo sia vero quello che mi ha detto una volta il mio caro amico Andrea: “è Benedetta che ha cercato te”. Vivo il qui ed ora e non penso a ciò che sarà di lei quando io non ci sarò più. Non la lascio sola e questo mi basta: ho imparato a cercare sempre nuove strade per lei e anche per me”.

(Foto: Agenda Doppio Tempo).
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