La cura del Creato

Abbiamo sempre negli occhi le immagini catastrofiche dei territori dell’Emilia Romagna colpiti dall’alluvione. Scene devastanti, in cui uomini, cose, terreni e città sono travolti dalla furia delle acque, dalle ondate di fango, dalla violenza incontrollabile di fiumi usciti dai propri letti e diventati portatori di distruzione e di morte. Siamo sgomenti, atterriti, impotenti di fronte a una tragedia di queste proporzioni, un po’ sollevati soltanto dalla straordinaria presenza e dalla generosa azione di volontari, soprattutto giovani, che hanno risposto agli appelli e stanno dando una prova grandissima di vicinanza e di solidarietà alle popolazioni così duramente colpite e provate.

Ecco l’ennesimo disastro seguito al maltempo, l’ultimo purtroppo di una lunga catena luttuosa di tanti anni di calamità naturali nel nostro Paese. Esso mette all’attenzione dell’opinione pubblica la drammatica verità di un’emergenza climatica e ambientale della quale facciamo fatica a prendere le misure, e che nei fatti non riusciamo a considerare come un’assoluta priorità per la sicurezza e la qualità della vita di chi risiede e opera in Italia.

“Non ci si può nascondere che la calamità ha avuto un “alleato” – ha affermato in un’intervista apparsa ieri su La Stampa il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI – ossia l’incuria. Molte precarietà del territorio sono state trascurate, maltrattate. Le zone di montagna – anche perché già meno abitate – non hanno più quella tradizionale cura e ricevono meno manutenzione, diventando così più esposte alle intemperie straordinarie. C’è ancora una mancanza – non più accettabile – di cura della casa comune. Questa sciagura è un nuovo allarme che non deve passare inosservato, nell’indifferenza: non possiamo più rimandare il lavoro per accudire in cui conviviamo come esseri umani. Temo che in generale si continui a sottovalutare questa urgenza”.

Nelle parole del porporato sembrano risuonare i titoli del promo capitolo della lettera enciclica sulla cura della casa comune “Laudato sì” di papa Francesco, pubblicato giusto otto anni orsono, esattamente il 24 maggio 2015. Dopo aver messo in evidenza che si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e allo stesso tempo che si constata una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta, nel testo si elencano alcuni grandi nuclei tematici legati a questa drammatica emergenza: l’inquinamento e i cambiamenti climatici, la questione dell’acqua, la perdita di biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, l’inequità planetaria, la debolezza delle reazioni, la diversità di opinioni rispetto a questi fenomeni. Ma tutto è dentro una lettura sapienziale, culturale, spirituale della vicenda ecologica del nostro tempo, nell’analisi, nelle argomentazioni, nell’individuazione delle piste concrete per una nuova cura della casa comune, in un mondo connesso e accomunato da un unico possibile destino di salvezza, che vede l’uomo protagonista, al centro delle scelte.

Questa chiave di lettura e interpretativa, nella sua originalità e unitarietà, ha rappresentato il vero fattore di successo del testo di papa Bergoglio, che ha contribuito a rendere popolare, condivisa e non più rinviabile una riflessione sull’urgenza di una vera conversione ecologica, puntando all’educazione a una concreta alleanza tra umanità e ambiente, a un diverso stile di vita e a una visione politica lungimirante fatta di decisioni intelligenti ed efficaci, con l’obiettivo di salvare il pianeta.

L’umanità oggi è chiamata infatti ad abitare la terra ricevuta in dono con la consapevolezza di doverla custodire e coltivare a vantaggio di tutti, soprattutto dei più deboli: la custodia potrà così divenire il paradigma del nuovo modello di sviluppo, che tende a includere i diversi livelli dell’equilibrio ecologico. Si riparte da ciascuno di noi, ma insieme, non in solitudine, perché nessuno si salva da solo, e nessun uomo è un’isola. Anche e soprattutto in questa nostra terra d’Italia allertata e martoriata da continue emergenze ambientali.

Che cosa si può fare, dunque? “Con rinnovata determinazione e possibilmente con uno “spirito costituente” di unità nazionale – propone il cardinale Zuppi – dobbiamo trovare un sistema di vita quotidiana sostenibile, ecologicamente e socialmente, che aiuti a prevenire le sempre possibili avversità catastrofiche”. Una via sicuramente non facile, ma senza alternative, perché ormai non c’è più tempo a disposizione. Essa ripropone la centralità di una dedizione quotidiana, costante e paziente al “bene comune” comprensiva anche della salvaguardia del paesaggio, della promozione dell’agricoltura e delle sue filiere di genuinità, gusto, tipicità e salute, del contrasto a ogni forma di deturpazione e inquinamento, della valorizzazione della bellezza. Un percorso che riconosca il valore insostituibile di una buona politica che sia soltanto al servizio dell’uomo, e non degli interessi economici, di qualunque sorta, che perseguono invece obiettivi contrari a una sana ecologia integrale, di tutti, per tutti. Nella cura del creato, la pienezza di umanità.

(Foto: web).
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