Ragni da seta: la Cina vuole allevarne, il Veneto pensa a una gelsibachicoltura alternativa. Intervista al dottor Pellizzari

Il dottor Ferdinando Pellizzari
Dottor Pellizzari

La seta più resistente del mondo non è quella dei bachi, ma quella dei ragni. Attorno a quest’affermazione già da qualche anno si sta muovendo, silenziosamente ma con grande energia, il mercato cinese che attualmente domina ampiamente il mercato internazionale. 

Le proprietà di un filamento della ragnatela di alcune precise specie di ragni (al mondo ne esistono, secondo ultimi dati pubblicati da riviste specializzate, oltre 49mila specie) sono incredibilmente performanti in quanto dotate di elevata tensione di rottura ed elevata tenacità, in sintesi fibre forti e al contempo elastiche, tanto che la ricerca su questo materiale si sta muovendo anche in campo militare. 

Un ipotetico tessuto composto da queste tipologie di seta, composto in modo da sfruttare alcune proprietà fisiche e limitandone altre, potrebbe – sempre secondo questa teoria – garantire lo sviluppo di un’armatura balistica più leggera del kevlar, ma capace di fermare un proiettile. In effetti, il principio è semplice da considerare: come una mosca in volo, molto più pesante del ragno stesso, viene catturata da una ragnatela sospesa, così un Boeing 747 potrebbe venire arrestato da una ragnatela se i fili che la formano avessero lo spessore di una matita (3/4 mm).

Secondo le riviste scienfiche di settore, che occorre tradurre e interpretare con più di qualche conoscenza base, la Cina sta riscontrando delle costanti difficoltà nel mantenere il mercato della seta, che richiede ingenti risorse, personale, ampi spazi e un ambiente sano. Di conseguenza sta cercando delle alternative che le consentano di anticipare eventuali nuovi mercati emergenti in questo campo. Dopo aver acquistato ampi appezzamenti in Africa, puntando su una filosofia d’espansione industriale, la Cina da alcuni anni sta cercando anche soluzioni alternative, scommettendo sulla ricerca come i suoi concorrenti europei, giapponesi e indiani. Anche il mondo moda si sta accorgendo di questa volontà.

Il limite della seta da ragno sta nelle quantità. Per prima cosa, un ragno ne produce poca: produrne una quantità ingente richiederebbe un colossale allevamento di ragni e, per mantenere quest’ultimo, sarebbe indispensabile avere un’illimitata risorsa di cibo per ragni, ovvero una scorta infinita di insetti. Gli scienziati hanno già pensato anche a questo e gli studi legati alla ingegneria biologica sono arrivati a un livello tale da poter affermare che “risulterebbe possibile transitare il genoma dei ragni in un’altra specie, mantenendone le proprietà”. 

E non soltanto da ragno a ragno, o da ragno a insetto, ma persino nelle cellule mammarie delle capre. Il dottor Ferdinando Pellizzari, agronomo e presidente dell’associazione nazionale Gelsibachicoltori, che ha approfondito quanto letto nelle riviste scientifiche, commenta: “Siccome la seta, anche quella dei ragni, è fatta al 99,5% di proteine: in fin dei conti basta produrne artificialmente, attraverso l’ingegneria genetica, innestando il genoma della seta dei ragni in altre specie animali. 

“La biotecnologia ha fatto dei progressi incredibili, ma così corriamo anche dei rischi. In Giappone, per esempio, la bachicoltura è stata del tutto abbandonata, ma si continua a lavorare sulla ricerca. Pensi che il Bombyx mandarina faceva un filo al massimo di 150/200 metri, oggi con la genetica si arriva tranquillamente a due chilometri e mezzo”.

Chiediamo al dottor Pellizzari quali siano i problemi per la gelsibachicoltura italiana e se anche nel nostro Paese si stiano sperimentando queste alternative: “Riattivare le filande, nella teoria, sarebbe piuttosto semplice: le strutture, per esempio, ci sono già – risponde, – Il problema è che produrre un chilo di bozzoli in Italia costa dai 18 ai 20 euro al chilo. Ma per ogni chilo di seta, ci vogliono 9 chili di bozzoli da filare, il che ci porta a 162 euro al chilo, senza contare tutto il resto. 

“Neanche con tutta la volontà del mondo i nostri industriali potrebbero acquistare bozzoli crudi a 18 euro/kg, per produrre la seta pregiata che le nostre industrie seriche richiedono e cioè la seta 6A e (l’India, per esempio, usa la 4A e la 3A). Importarla costa circa 60/70 euro al chilo, meno della metà”. 

Secondo l’agronomo, in Italia sarebbe impossibile riprendere la passata filiera sericola (intesa come produzione di filo di seta a fibra lunga, attraverso la classica filatura dei bozzoli (tecnicamente chiamata filatura per trattura in stabilimenti chiamati filande). Diversamente sta aumentando l’interesse per la produzione del bozzolo da cardare, cioè a fibra corta, come si fa per la cardatura della lana e prodotti similari, per ottenere tessuto/non tessuto e ovatta di seta, dai molteplici utilizzi e molto richiesti specie nei settori della cosmesi e medicale.

“Un altro aspetto positivo della cardatura è che si utilizzano ugualmente tutti i bozzoli prodotti, senza distinzione di qualità, pezzatura e peso (grosso vantaggio per l’allevatore) – commenta Pellizzari – Inoltre, nel caso che prima della cardatura si operi il taglio del bozzolo, con il recupero della crisalide interna, si aprono altri numerosi scenari di utilizzo della crisalide stessa. Da alcuni anni anche in Italia ci sono aziende e istituti di ricerca che hanno effettuato studi e prove sperimentali sulla cardatura del bozzolo, con risultati finali e prospettive interessanti. È pertanto opinione comune che la fibra corta potrebbe incontrare anche l’interesse della industria serica italiana”.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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