Dalla Lessinia al Monte Grappa, dall’Altopiano di Asiago al Cansiglio, il Veneto conta oltre settecento malghe, un patrimonio che la Regione Veneto ha definito di estrema rilevanza non soltanto per il turismo di montagna, ma in generale per la sussistenza delle regioni d’alta quota: l’economia che le malghe sono in grado di sviluppare, anche in quelle località remote dove diversamente non ci sarebbero opportunità di sviluppo, non deve far fronte soltanto ai classici problemi delle piccole attività d’accoglienza dei colleghi in pianura (primo tra tutti il personale), ma anche alle difficoltà legate all’approvvigionamento dell’acqua, al costo dei trasporti e, in inverno, al cambiamento climatico.
Secondo l’Unità Operativa Pianificazione e Gestione faunistico-venatoria della Regione, questo settore non può insomma subire da solo un altro problema: quello legato al ritorno dei grandi predatori e, in particolare in area bellunese-trevigiana, alla presenza del lupo.
Il progetto Melken, presentato lo scorso fine settimana a Longarone Fiere, nasce da una ricerca scientifica condotta dall’Università degli Studi di Padova con Coldiretti Veneto, con la collaborazione del CAI: l’obiettivo del progetto è cercare di tutelare le attività delle malghe, in modo particolare l’attività di pascolo, anche attraverso l’installazione di una recinzione elettrificata per consentire una maggiore tutela del bestiame allevato.
“L’arrivo del lupo, a partire dal 2012, ha spezzato alcuni equilibri che attraverso queste operazioni tentiamo di ricostituire. Il progetto prevede un periodo di sperimentazione che avrà luogo in alcune malghe selezionate del territorio, a partire dalla stagione dell’alpeggio 2023 – spiega Emanuele Permechele, responsabile del progetto del relativo ufficio regionale. – È un progetto ad ampio respiro che, concludendosi nel 2027, contribuirà a dare maggiore conoscenza e consapevolezza agli allevamenti di domani. Melken consentirà anche di comprendere le abitudini dei branchi censiti, che attualmente in Veneto sono 14, attraverso gli studi dell’équipe del professor Michele Scotton.
A prestarsi alla sperimentazione del progetto sono state cinque malghe: tra queste, nell’area bellunese, ci sono malga Piz, ad Alano di Piave, il rifugio Cherz a Livinallongo e malga Illari a Chies d’Alpago. “Si tratta comunque di un progetto aperto a chiunque voglia finanziarlo. Se ci fossero altre malghe, per esempio sul Grappa o sulle Dolomiti, interessate a supportare questo studio, chiaramente ne saremmo felici e andrebbe a contribuire al risultato finale”.
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