In un mondo che cambia, sorprendono quei locali che sembrano rimanere ancorati a un passato fatto di piccole gioie: qualche cicchetto gratuito portato al tavolo assieme all’aperitivo, una porzione più abbondante per un lavoratore affamato, una partita di calcio commentata in compagnia, qualche parola scambiata da una parte all’altra del bancone. Piaceri che descrivono pienamente la tradizionale osteria, che viene facile immaginare con le sedie e il bancone di legno, dietro al quale ci sorride un signore con i baffi.
Il bar Girasole, un’istituzione per San Zenone
Entrando e osservando le vetrine all’interno delle quali brillano oltre tremila bottigliette mignon, si intuisce facilmente come il bar Girasole, a destra lungo la provinciale SP248 per raggiungere il centro San Zenone, abbia una lunga storia da raccontare. Si tratta di un ampio locale caratterizzato da sale particolari e un bancone robusto, dietro al quale lavorano con dedizione Rosanna Costa e suo marito Orfeo Baggio, che accetta di raccontarci la storia del locale, che è unico nel suo modo di conservare quell’atmosfera autentica, che trasmette sincerità.
La storia della locanda
Le radici della famiglia Baggio sono riesine. Il nonno Orfeo aveva diversi lavori: faceva il maniscalco, ma anche il cuoco ai matrimoni. Un tempo per le nozze si era soliti chiamare un cuoco a casa, che portasse le pentole e tutto il resto, e il “rinfresco” si celebrava nella corte della propria contrada.
Grandi lavoratori, nonno Orfeo e sua moglie, che si turnavano alle due botteghe: una in via Raspa e una a San Zenone degli Ezzelini, acquistata nel Natale del 1954. “Mio nonno non sapeva quale delle due botteghe scegliere o quale lasciare, così faceva un po’ e un po’ con sua moglie – racconta il nipote Orfeo, – alla fine ha scelto di trasferirsi a Riese, ma i figli – mio padre Abramo (detto Albano) e mio zio Battista – hanno deciso di rimanere”.
Da una parte dell’edificio c’era la cantina, gestita dallo zio Battista, dall’altra c’era la locanda, con il ristorante e l’albergo, che veniva portata avanti da Irene Zanetti e Albano Baggio, con quattro figli: Ermenegildo, il più vecchio, Orfeo e le gemelle Franca e Bruna.
Chiaramente, rimaneva aperta anche l’attività relativa ai matrimoni. Nell’edificio c’era spazio anche per i bachi da seta. “La fortuna venne con i primi operai che si fermavano a mangiare – racconta il gestore, ricordando i sacrifici del papà. – A San Zenone avevano aperto le prime fabbrica, come la Campana, che faceva mobili. Di matrimoni poi se ne facevano tre quattro a settimana”.
Spazio ai nipoti
Col tempo, i due figli Orfeo ed Ermenegildo presero il posto dei loro “vecchi”, ma dopo poco Ermenegildo prese un’altra strada, fondando la celebre Locanda Da Baggio al Casonetto di Asolo. Orfeo, anche grazie al duro lavoro di Franca e Bruna, che al Girasole diedero tantissimo, ma soprattutto grazie alla moglie Rosanna, che a suo tempo lasciò per amore un posto di lavoro ben più comodo, continua ancora a mantenere gli stessi orari di un tempo: apertura alle 4 di mattina, chiusura a l’una di notte, più tardi nei giorni festivi o quando ci sono partite importanti.
Quasi un palazzetto
Sì, perché il fatto di trovarsi a vedere una partita al Girasole è sempre stata una tradizione: quella dei Baggio era una delle prime televisioni a San Zenone e da allora è sempre stato il luogo dove guardare le partite, anche da quando i canali sportivi sono diventati a pagamento. L’ampia sala, dove fino al 2018 si serviva un menù per pranzo e cena, oggi vede un grande schermo e una sala da biliardo (aperta nel 1996) ed è caratterizzata da una collezione di cinquemila vecchie bottiglie di vino.
Tremila bottiglie mignon
Per quanto riguarda la collezione di bottiglie mignon, Orfeo racconta che è una mania nata da quando suo padre Abramo, alle feste, metteva degli omaggi di bottigliette mignon in dei grandi cesti e i figli si divertivano a rubarne un paio, collezionandole: col tempo, anche i clienti del Girasole hanno cominciato a portagliele e il suo bar è diventato una specie di museo della bottiglietta mignon.
Il gestore del bar ricorda anche, perfettamente, il numero di sedie da riordinare, che da piccolo doveva contare prima e dopo le partite, e non dimentica quell’accortezza di portar fuori qualcosa assieme all’aperitivo: “Era una tradizione di famiglia: quando i clienti aspettavano, al ristorante, portavamo fuori due o tre cosce di gallina. Era una cosa che faceva tanto piacere”.
Passaggio generazionale? Turni troppo impegnativi
“E il futuro?” gli chiediamo. “Eh, il futuro è grigio – ci risponde sorridendo, – Abbiamo due figli, uno del 1984 che è ingegnere e l’altra che ha messo su famiglia altrove. Non si metteranno a servire al bar, non credo. Ma va bene così, il mondo cambia e per queste cose non c’è soluzione. Certo, stiamo cercando di trovare qualcuno che ci tolga dal lavoro, ma è difficile, gli orari sono durissimi. Quando c’è poca gente io e mia moglie ci turniamo e andiamo a riposare, ma chi altri può farlo. Chi è che è disposto a lavorare dalle quattro a mezzanotte, con un giorno di riposo?”.
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