“Il mio Maestro Michele Maria Correra e l’amico Guglielmo Gulotta sono stati due grande studiosi della materia vittimologica, sin dagli anni ’70 del secolo scorso”. Lo spiega Danilo Riponti avvocato penalista e docente di Criminologia all’Università di Trieste.
Nel 1976, Guglielmo Gulotta in una pubblicazione dal titolo “La Vittima” ha definito questa parte della criminologia come “quella subdisciplina criminologica che studia le caratteristiche della vittima, le sue relazioni con il soggetto agente e il ruolo da lei giocato nella dinamica della criminogenesi, con finalità conoscitive, diagnostiche e preventive del reato e della vittimizzazione”.
La centralità della vittima
Facendo un passo indietro nel tempo, nel 1941, furono un giurista, lo statunitense H.Von Hentig, e il medico psichiatra rumeno Mendelsohn ad approfondire il fatto inoppugnabile che ogni vicenda criminosa oltre ad avere un responsabile, “un reo”, ha un altro importante protagonista.
Questi loro studi gettarono le basi per la centralità della vittima nell’analisi criminologica, così come la si intende oggi. Nella criminologia contemporanea – fortunatamente – assume un ruolo centrale la vittima ovvero “colui che subisce gli effetti del comportamento criminoso”
“Secondo questi due studiosi – che in maniera molto diversa hanno approcciato il tema – comprendere la criminogenesi (ovvero come nasce l’idea di compiere un gesto criminale) e la criminodinamica (come si sviluppa una condotta criminale) senza conoscere in maniera sistemica il ruolo della vittima in una vicenda tragica avrebbe una grande lacuna, oltre a costituire un segnale di grave inciviltà giuridica.
La comprensione del ruolo della vittima
“Comprendere anche il ruolo della vittima – spiega Riponti – poteva consentire alla società civile di riparare il debito per la mancata sicurezza sociale, purtroppo gravata sulla vittima, e garantire un ristoro di quelli che sono i bisogni primari della vittima del reato manifesta sia prima che, durante e dopo il fatto criminoso”.
Se il ruolo della vittima può essere rilevante e talvolta determinante nella criminogenesi, è evidente che le informazioni relative possono rivestire grande importanza anche in chiave investigativa, sia in termini di interpretazione delle dinamiche di un delitto che di ricostruzione del profilo criminologico del soggetto attivo, stanti i processi di interazione fra criminale e vittima.
La vittimalistica
Come si legge nel volume dello stesso Riponti scritto assieme a Pierpaolo Martucci Nuove pagine di criminologia “Questa consapevolezza ha favorito la nascita di un nuovo approccio, la vittimalistica, cioè lo studio della vittima del reato ai fini delle indagini di polizia. Si può dire che la vittimalistica si pone in rapporto alla vittimologia negli stessi termini in cui la criminalistica si pone in relazione alla criminologia.
Il rispetto della vittima
Ma una tale importante funzione non deve portare a confondere la vittima con una fonte di prova, da ‘spremere’ quanto più possibile ai fini istruttori e senza il rispetto dovuto alla persona umana. “Ciò implicherebbe una gravissima forma di seconda vittimizzazione, sovente perpetrata a danno della vittima dagli organi inquirenti del sistema della giustizia penale” prosegue Riponti.
Determinante per il ruolo della vittima in rapporto dell’indagine è il suo stato di salute complessiva. Se la vittima non è sopravvissuta all’aggressione la vittimologia assume il significato di una vera e propria “analisi autoptica in cui la vittima rappresenta un ‘corpo’ sul quale riconoscere dei ‘segni’ intellegibili dell’azione di un determinato reo all’interno del contesto scenografico del crimine e, retrospettivamente, una persona dotata di determinate caratteristiche fisiche, di una storia e di uno stile di vita, elementi a cui è fondamentale risalire ai fini investigativi mediante la cosiddetta ‘autopsia psicologica”.
Nel secondo caso, ovvero quando la vittima è sopravvissuta, lo studio vittimologico è centrato sull’analisi contestuale della vittima in quanto testimone del reato subito, e soprattutto, portatore di diritti risarcitori di natura pubblicistica e privatistica.
L’autopsia psicologica
Importante è chiarire il ruolo dell’autopsia psicologica che trova origine nelle tecniche utilizzate negli Stati Uniti dall’FBI in situazioni di morte equivoca nelle quali sussiste il dubbio fra suicidio, incidente e fatto doloso.
Riportando quanto scritto nel manuale Nuove pagine di Criminologia “Si tratta di una ricostruzione retrospettiva della vita di una persona capace di individuare aspetti che ne rivelino le intenzioni rispetto alla propria morte, fornire indizi sul tipo di decesso, sul livello (se vi è stato) di partecipazione alle dinamiche del decesso e spiegare i motivi per cui la morte è avvenuta in quel dato momento”.
Grazie ai risultati ottenuti si può restringere notevolmente il ventaglio dei possibili responsabili di delitti, suggerire utili strategie negli interrogatori di sospettati (applicazioni investigative) e individuare tipologie di ulteriori, possibili soggetti a rischio di vittimizzazione (applicazioni preventive).
Gli Autori negli approcci di “autopsia psicologica” individuano inoltre anche altre informazioni utili sulla vittima che riguardano: il background familiare, la reputazione, simpatie o antipatie, eventuale abuso di sostanze stupefacenti, l’attività lavorativa, le abitudini quotidiane e, soprattutto, l’ultima persona con cui ha avuto modo di parlare prima del delitto e le circostanze in cui ciò è avvenuto.
(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it