Oggi sostiamo a Farra di Soligo che, con i suoi novemila abitanti, ci accoglie in un territorio incantevole: colline ricamate dai filari di vite, corsi d’acqua che si insinuano nella vegetazione lussureggiante, edifici sacri che con la loro rassicurante presenza punteggiano la campagna.
Il toponimo Fara o Farra è di origine longobarda. Farra di Soligo, Farra d’Alpago (Belluno), Farra d’Isonzo (Gorizia), Fara Vicentino, Fara San Martino (Chieti), come tanti altri borghi sparsi nella penisola, hanno in comune il retaggio culturale della popolazione germanica, giunta in Italia nel VI secolo al seguito di re Alboino.
I Longobardi muovevano suddivisi in fare, corpi di spedizione che coincidevano con gruppi familiari discendenti da un medesimo antenato. Questa organizzazione restava immutata nei luoghi di insediamento, nei quali la fara assumeva la duplice accezione di comunità politica e corpo militare.
Distribuite uniformemente sulla dorsale prealpina, le fare devono a loro volta il loro nome all’antica locuzione germanica far, viaggio.
La dominazione longobarda, le cui tracce si ritrovano nei cognomi e nel linguaggio, ha segnato profondamente la toponomastica del territorio attraverso i cosiddetti “agionimi”, nomi geografici mutuati da quelli dei santi. Alla conversione dei Longobardi al cristianesimo corrispose infatti la devozione per San Giorgio, San Michele, San Martino, da allora indissolubilmente legati alla storia locale.
La nostra visita a Farra di Soligo ci porta, non a caso, alla sommità di un rilievo consacrato a un santo: Martino di Tours, vescovo cristiano vissuto nel IV secolo e reso famoso dal generoso taglio del proprio mantello.
Col San Martino, antico feudo dei Collalto, fu sede di uno dei castelli protagonisti della storia medievale di Farra di Soligo, narrata secondo le regole araldiche nello stemma civico: una rocca merlata alla guelfa e sormontata da una croce a ricordo dei vescovi cenedesi e della signoria caminese; i colori bianco e rosso simbolo della Marca Trevigiana.
Soffermiamoci ad ammirare la chiesa di San Vigilio, della quale si hanno notizie dal X secolo. Il luogo offre l’opportunità di spaziare con lo sguardo verso la piana del Piave e per tale ragione, durante la Grande Guerra, il sito divenne osservatorio austriaco.
Appagati da tanta bellezza, come oramai d’abitudine, solleviamo il calice.
Possiamo scegliere fra il grintoso e tannico Raboso del Piave (il torrente Raboso scorre ai piedi del colle) o un aromatico Vin col Fondo, nel quale ricercare il caratteristico sentore di crosta di pane. Sarà comunque un successo!
(Autore: Marcello Marzani).
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