Per chi non lo conoscesse, Lorenzo Cremonesi è un inviato speciale del Corriere della Sera: nella sua esperienza, dal 1984 a oggi, ha visto diversi scenari di guerra, compreso il fronte Ucraino-Russo. In quest’ultimo viaggio nelle aree interessate dal conflitto ha però collezionato informazioni e testimonianze, interviste e immagini, che lo hanno portato a scrivere quello che ha definito “il libro della mia vita”.
Grazie all’iniziativa della Camera di Commercio Treviso Belluno e Dolomiti, all’inizio della scorsa settimana, lunedì 30 gennaio, Cremonesi ha soggiornato per due giorni a Treviso, durante i quali ha tenuto una lunga lezione agli studenti alla Scuola di Reporter, ma ha incontrato anche gli investitori trevigiani e, assieme al presidente Mario Pozza, ha dedicato un breve colloquio con i colleghi della stampa locale.
Riportiamo quindi il suo racconto, frutto di un’esperienza diretta sul territorio, ma anche una lunga intervista con il leader ucraino Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj e con altri capi di stato europei.
Partendo dalle categorie economiche del trevigiano, qual è il ritratto attuale di queste tensioni geopolitiche?
“La preoccupazione per questa guerra è legittima. A differenza di quelle che ho seguito negli ultimi quarant’anni questo conflitto coinvolge le periferie orientali dell’Europa, ma in realtà ne colpisce il cuore. Questo dimostra la necessità pressante di avere una politica della difesa europea.
Purtroppo, ancora una volta noi stiamo delegando “agli Alleati” il compito di difenderci. Mi preoccupa non soltanto guerra ma il fatto che l’Europa non sia in grado di assumersi la responsabilità della propria difesa e della propria politica estera.
Come si sarebbe dovuto rispondere a un gesto militare così aggressivo?
Putin ha compiuto un atto di forza che necessitava una risposta militare decisa e risoluta. Questa riflessione è maturata avendo seguito le vicende dell’Ucraina da prima – perché questa guerra dura da molto più a lungo – ma di fronte a un gesto di attacco in cui una nazione mira direttamente alla capitale, serve una politica del dialogo e della pace organizzata.
Come lo stesso Putin ha scritto più volte in un famoso saggio, la sua intenzione è chiaramente riprendersi tutta l’area d’influenza, quindi la Moldavia, il traffico del Mar Nero, la Polonia, i paesi baltici: questo ci coinvolge direttamente.
Cosa dovrebbero sapere quindi gli imprenditori trevigiani?
Io credo che specialmente la vostra realtà, le piccole e medie imprese, abbia delle abilità e delle flessibilità che probabilmente le grandi aziende di altre aree non hanno. Personalmente non mi occupo di economia, ma sono convinto che il prosecco arrivava a fiumi a Mosca.
Questo è un problema: è il prezzo del non schierarsi e quindi di non pagare un prezzo per difendere l’Ucraina. Questo periodo però è una grandissima opportunità per il discorso di energie alternative, per un rinnovamento in senso ecologico: piccole e medie aziende dovrebbero investire nell’eolico o nell’idrogeno.
Si è fatto un’opinione personale, come italiano in terra straniera?
Credo che la reazione che Draghi ha avuto sia stata davvero incredibile. Draghi ci ha riportato al cuore della politica europea: eravamo marginali, lui ci ha portato a essere condurre il dialogo assieme alle grandi potenze europee. Ha aperto la strada ancora di Macron, di Schulz (che non ha fatto nulla). La Meloni ha perseguito questa stessa politica, con la visita in Libia, muovendosi per trovare fonti alternative per l’energia.
Domanda difficile: quando potrebbe concludersi questa guerra?
L’offensiva di Putin ha incancrenito qualcosa che c’era già da otto anni. Ora questa guerra, come ogni guerra, muta: io continuo a sostenere che nella prima fase sia stata una debacle totale. Penso alla battaglia di El Alamein e a Stalingrado e penso che tutto sia cambiato rapidamente: doveva essere una blitzkrieg e invece la Russia sta mobilitando sempre più tutta la società.
Il secondo elemento grave che è avvenuto in Russia è stato il gesto propagandistico di mettere i cannoni antiaerei sul Cremlino: hanno dato alla popolazione della capitale l’idea di poter essere bombardati. Gli ucraini sono molto più capaci di modificarsi ma adesso si trovano a dover affrontare uno sforzo prolungato.
Da qui la loro necessità di avere armi e un’economia europea che li sostenga. Io direi che quest’anno va avanti così: l’Ucraina ha bisogno di un sostegno economico, di ricostruzione e di mantenimento. È chiaro che adesso siamo nel mese più freddo, quindi anche l’inverno influisce su questo fattore. Occorre la forza per bloccare la “logica della forza”.
A questo punto, Cremonesi anticipa l’ultima domanda: quella su un’eventuale escalation del conflitto.
L’escalation sarebbe l’atomica, certo. Ricordo che lo scorso anno c’era paradossalmente più dialogo. Zelens’kyj mi disse che avrebbe voluto un incontro a quattr’occhi con Putin, convinto di trovare una soluzione. Ricordo ai putiniani locali che la classe dirigente ucraina proponeva il famoso concordato, con il ritiro delle truppe russe e il congelamento dello status quo per 15 anni.
E ribadisco che l’unica cosa che ferma Putin in questa fase è la forza militare: dobbiamo essere sicuri della forza dell’Europa, però, risoluti. Bisogna considerare che le armi occidentali sono talmente superiori a quelle russe che una quarantina di lanciarazzi hanno trattenuto colonne di carri armati T62 e T34. Stiamo parlando di ferraglia. Il problema è che le nostre sono armi così tecnologiche che bisogna addestrarsi per mesi per usarle.
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