La questione allevamento di insetti e colture idroponiche

Le due attività, seppure apparentemente da considerare come agricole, non lo sono da un punto di vista fiscale, ma il loro continuo espandersi richiede la fissazione di punti chiari, così che non si generino situazioni di incertezza.

Il fisiologico evolversi del mondo imprenditoriale non fa eccezioni per il comparto agricolo che è costantemente in evoluzione e vede la normativa civilistica e fiscale costretta a “rincorrerlo”. Una questione legata all’evolversi delle richieste del mercato e delle tecnologie di coltivazione è quella evidenziata in oggetto, vale a dire l’allevamento di insetti (spesso e volentieri finalizzato alla produzione di mangimi) e quello della coltivazione idroponica di ortaggi.

L’art. 2135 c.c., così come modificato dal D.Lgs. 18.05.2001, n. 228 (c.d. Legge di Orientamento), prevede che “per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.

Relativamente all’allevamento di insetti, siano essi cavallette per l’alimentazione animale, piuttosto che lombrichi per la produzione di farine o per quella di humus, chi esercita tale attività rientra civilisticamente a pieno titolo nell’attività agricola così come descritta dall’art. 2135 c.c., in quanto è curato un ciclo biologico (di carattere animale?) o una fase necessaria di esso e il collegamento con il terreno è potenziale ma non necessario (“che utilizzano o possono utilizzare il fondo”).

Nel momento in cui ci si sposta nel mondo della legislazione fiscale, invece, tutto quanto sopra non ha più rilevanza poiché gli insetti citati (a differenza delle api) non sono ricompresi nell’elenco degli animali allevabili di cui al Decreto 15.03.2019.

Pertanto in nessun modo tale tipologia di allevamento, nemmeno se svolta in connessione con il terreno come nel caso della lombricoltura, potrà mai vedere applicate le disposizioni dell’art. 32, c. , lett. b) del Tuir e di conseguenza la tassazione su base catastale.

Con riferimento invece alle colture idroponiche, anche in questo caso l’imprenditore esercita un’attività diretta alla cura di un ciclo biologico vegetale o di una parte necessaria di esso (senza necessariamente utilizzare il fondo) e pertanto ai fini civilistici adempie al disposto dell’art. 2135 c.c. Dopodichè, non essendoci nella maggior parte dei casi una connessione con il terreno, va da sé che tale attività non possa rientrare nell’art. 32, in quando manca il presupposto per determinare il reddito imponibile sulla base di tale articolo, vale a dire il reddito agrario del terreno. Potrebbero, estremizzando, rientrarvi le coltivazioni idroponiche in serra con i limiti del c. 2, lett. b) dello stesso art. 32 del Tuir, ma per quale motivo le seconde si e le prime no?

In conclusione si può quindi ritenere che, pur essendo le citate attività di carattere agricolo ai fini della normativa civilistica e di conseguenza classificare come imprenditori agricoli coloro che le esercitano, le stesse non lo possono essere da un punto di vista fiscale ed attualmente l’unica strada è quella di determinare il reddito imponibile sulla base della normale determinazione del reddito d’impresa.

Questi sono i temi aperti e li riteniamo piuttosto urgenti perché le attività descritte, o attività simili a quelle descritte, sono sempre più all’ordine del giorno e c’è necessità di sapere se ci sarà la possibilità che, da un punto di vista fiscale, mediante le regole che il legislatore vorrà prevedere, vengano ricondotte nell’ambito degli artt. 32 e 56-bis, oppure se questa evenienza non ci sarà, confinandole definitivamente nell’ambito del reddito d’impresa.

Autore: Alberto Tealdi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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