Quando il modello organizzativo 231 è solo sulla carta

In materia di responsabilità amministrativa da reato il modello organizzativo deve essere adottato ed efficacemente attuato: la mancata attuazione rende inefficaci le conseguenze previste dalla norma.

Sono trascorsi 22 anni dall’introduzione della disciplina in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, eppure restano ancora avvolti nella nebbia taluni suoi principi cardine. Tra questi la fondamentale condizione che il modello organizzativo 231, oltre all’adozione, deve essere “efficacemente attuato” per produrre gli effetti previsti dalla norma. I suoi contenuti, oltre a radiografare e rappresentare la realità dell’ente, le sue reali condizioni operative per individuare verso quali rischi di reati può essere potenzialmente esposto, devono costituire appropriati punti di riferimento per i componenti dell’organizzazione, in termini di condotte da evitare e/o da porre in essere.

Altro principio cardine è la formazione/informazione e sensibilizzazione di tutti i componenti dell’organizzazione, nessuno escluso, sul tema della responsabilità amministrativa da illecito e sugli specifici contenuti del modello 231 adottato.

Attività nella quale è necessario tenere in buona evidenza le diverse soggettività dei destinatari: ruoli, mansioni e compiti affidati in seno all’organizzazione, nonché formazione scolastica. In relazione a tale ultimo aspetto, nell’utilizzo di un lessico necessariamente tecnico non va trascurata l’esigenza di rendere comprensibili anche ai non addetti ai lavori determinati concetti, specie se riguardanti la possibile esposizione dell’ente a individuati rischi di reati: spiegare in modo chiaro e comprensibile in cosa può consistere una condotta a rilevanza penale.

Detta attività deve essere pervasiva e adeguatamente formalizzata, per esempio, con l’apposizione delle firme dei partecipanti alle sessioni formativo/informative in un apposito elenco ma, soprattutto, non deve essere una tantum: la formazione va erogata sia in fase di iniziale adozione del modello, sia con periodicità, specie se si verificano mutamenti organizzativi o modiche normative che impattano sulla responsabilità in argomento.

Le caratteristiche dell’ente (modalità di svolgimento delle attività, articolazione organizzativa, ecc.) sono i drivers che condizionano la c.d. mappatura: aree operative/attività svolte versus rischi potenziali di reati. Esemplificando, un’azienda manifatturiera o edile saranno esposte a rischi di reati diversi rispetto ad una che eroga servizi alla persona, ma tutte potrebbero trovarsi esposte a possibili reati contro la pubblica amministrazione (es.: reati tributari).

Prescindendo dal fatto che la presenza del modello 231 può essere un requisito richiesto per partecipare a bandi e gare ad evidenza pubblica o per conseguire accreditamenti o autorizzazioni, va sottolineato che la sua adozione è un atto volontario, la norma non prescrive alcun obbligo al riguardo. Pertanto, impiegare tempo e denaro per dotarsi dello strumento e poi non renderlo operativo, non “efficacemente attuato” come statuito dalla norma, oltre che antieconomico, sterilizza gli effetti dell’adozione qualora si verifichi un evento che comporta la responsabilità dell’ente.

Nella sentenza n. 38025/2022 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una società, condannata per associazione a delinquere finalizzata al traffico organizzato di rifiuti speciali e smaltimento illecito di rifiuti in siti non autorizzati, che tra i motivi lamentava anche la mancata applicazione della sanzione pecuniaria in misura ridotta ai sensi dell’art. 12, c. 2, lett. b), D.Lgs. 231/2001, perché il modello 231 dalla stessa adottato non era stato “reso operativo”, non essendo sufficienti la nomina dell’organismo di vigilanza, l’introduzione del codice etico e di un sistema sanzionatorio e disciplinare, nonché l’adozione di un manuale integrato qualità, ambiente e sicurezza sul lavoro.

Autore: Giovanni Alibrandi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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