Vigilia dei Panevin, decine e decine di falò pronti ad accendere l’Alta Marca Trevigiana

Se nominassimo il Panevin a qualcuno che non abita entro i confini dell’Alta Marca Trevigiana, questi ci guarderebbe stranito: anche zoommando sulla cartina italiana e confinandola in un triangolo che definisce il Nordest quest’usanza ha preso decine di nomi e di varietà.

A Modena e Bologna, per esempio, il Brusa la vecia è al maschile, mentre a Parma si chiama “Fasagna”. Volendo allontanarci ancora, usanze riconducibili a quella dei “falò di iniziò anno” sono rintracciabili anche nella storia: già alcune popolazioni celtiche festeggiavano i solstizi con riti pressoché identici, chiamati Nodfyr.

Tornando a noi, nell’Alta Marca i Panevin hanno guadagnato un’importanza che va al di là del rito di celebrazione dell’Epifania e sono molto seguiti dalle comunità dei comuni che ne curano la preparazione e l’organizzazione.

Alcuni di loro (siamo riusciti a intervistarne soltanto una minima parte, nell’area di Conegliano), ricordano il Panevin da oltre cinquanta edizioni e testimoniano quanto sia cambiata da una parte la fatica pratica di costruirlo e dall’altra la spensieratezza nel richiederne il permesso alle amministrazioni (anche perché probabilmente un tempo non era necessario).

D’altra parte per l’ammucchio delle ramaglie un tempo erano necessarie molte ore di lavoro rispetto alle automazioni e i macchinari del giorno d’oggi: una tradizione quella di fare fatica per una celebrazione collettiva che tuttavia non sembra aver perso intensità negli anni.


Vediamo infatti, già diversi giorni prima dell’evento, impegnati anche nel gelo della mattina a preparare non soltanto la matassa ma anche tutte quelle attività collaterali che servono a intrattenere, scaldare e ristorare il pubblico che verrà a vedere il rogo.

In alcuni comuni l’usanza comprende anche alcuni prodotti alimentari come la pinza che non sono normalmente attribuiti alla nostra zona.

Elementi curiosi come questo distinguono ogni Panevin da quello del paese vicino e le diverse leggende che gli anziani raccontano ai bambini prima di far loro la classica calza della Befana colorano di folklore quest’evento: così lo sfarfallio delle fiamme e il rumore dei rami che crocchiano bruciando diventano il demonio che brucia, la direzione del fumo indica un presagio sui raccolti dell’annata, mentre un palo che cade tra le fiamme è un segnale che una grande sfortuna incombe sul paese.

Quindi il vecchio o la vecchia dei Falò di iniziò anno non hanno a che fare con la Befana, la quale ha un’origine non geograficamente definita, sicuramente pagana, e che spesso viene erroneamente avvicinata alla figura della strega, ma sono semplicemente l’allegria del passato.

In Veneto quindi, a differenza di altre regioni, non sono soltanto i bambini a celebrare questa festività che accenderà oggi, a partire da Combai di Miane, dove alcuni Panevin riceveranno l’ufficialità e la benedizione del vescovo e a Vazzola, dove presenzierà anche il governatore Luca Zaia, speranze e desideri di intere comunità, raccolte assieme attorno a un fuoco proprio come un tempo.

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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