La presenza del cervo nei nostri territori è dovuta all’attività umana

Durante una chiacchierata zoologica con una giovane giornalista sugli impatti ecologici e
socioeconomici che caratterizzano alcune specie di mammiferi e uccelli, dopo un po’ di ritrosia appare la fatidica domanda: “… ma perché mio nonno non ha mai vissuto tutti questi problemi con cinghiali e lupi? E perché il cervo arriva in centro a Valdobbiadene?”.

Faccio un calcolo mentale dell’età del nonno e nessun dubbio, ci troviamo di fronte ad un classico esempio di “scala”.

Mi spiego meglio, o almeno tento: spontaneamente, direi meglio naturalmente, il nostro cervello ragiona attraverso scale spaziali e temporali dipendenti dalle nostre esperienze quotidiane, e se questo modo di pensare è spesso utile per la nostra stessa sopravvivenza, lo stesso ragionamento non serve (anzi è proprio l’origine di riflessioni ingannevoli e fuorvianti) quando dobbiamo affrontare scale spaziali e temporali diverse da quelle della vita quotidiana nostra e dei nostri cari.

Quando affrontiamo la presenza e l’assenza di specie animali selvatiche in determinati dove e quando, dobbiamo lasciar perdere l’unità di misura istintiva umana (utile per la zootecnia), e usare il metro scientifico per misurare i dati che derivano dalla conoscenza della biologia delle specie di cui vogliamo conoscere gli attuali territori geografici occupati.

All’inizio del secolo scorso, in Italia, il cervo era completamente estinto, a parte piccoli nuclei in Val Monastero e in Alta Val Venosta (BZ), nel Bosco della Mesola (FE) e a Tarvisio (UD); è dalla seconda metà del ‘900 che il cervo riconquista l’arco alpino orientale (e oggi aree collinari) grazie alla naturale espansione delle popolazioni slovene, austriache e svizzere; mentre la presenza del cervo nelle Alpi occidentali e nell’Appennino è il risultato di reintroduzioni con scopi venatori (e ricreativi) e di fughe da recinti mal manutenuti.

Le immissioni a scopo venatorio cominciate dagli anni ’60, le modificazioni ambientali e i parametri biologici del cinghiale sono stati i motori che ne hanno determinato l’attuale presenza e consistenza. Sulla scia delle specie preda, sono arrivati i predatori e le specie che si cibano di quello che i predatori lasciano. E così, ora, c’è anche il lupo e lo sciacallo.

Quello cui assistiamo oggi, la presenza di alcune specie e l’assenza di altre, è il frutto di processi biologici cominciati almeno ottanta anni fa. Come si vede, parliamo di spazi e di tempi lontani dalla nostra vita quotidiana. Nella scala biologica del cervo, del cinghiale e del lupo, la presenza e l’attività (e non attività) umana ha aiutato (o dissuaso) la presenza di queste specie, ma questo è un altro bestiario.

Quella che ora appare scontata è la risposta alla mia giovane interlocutrice: “Il nonno non aveva problemi con cervi, cinghiali e lupi, semplicemente perché non c’erano”.

(Fonte: Paola Peresin).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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