Il futuro delle imprese venete e trevigiane è stato al centro dell’intervista concessa a Qdpnews.it dal dottor Giovanni Gajo, fondatore e presidente onorario di Alcedo sgr.
Alcedo sgr è una realtà trevigiana che si occupa di assistenza e consulenza in operazioni di finanza straordinaria, tanto per le piccole e medie imprese quanto per i grandi gruppi industriali; a questo si è unita nel tempo l’attività di investimento (private equity), attraverso lo strumento della gestione di holding di partecipazioni prima e, successivamente, di fondi comuni di investimento mobiliare.
Gajo, laureato in Economia e Commercio all’Università Ca’ Foscari di Venezia e in Psicologia all’Università di Padova, dal 1987 si è dedicato agli investimenti industriali e alla gestione delle aziende, con oltre 150 operazioni dirette, e ha ricoperto importanti cariche aziendali: presidente San Remo, SanPaolo Imi Sgr, Marzotto, Ospedale di Abano Terme, Ligabue; vicepresidente Permasteelisa e Ospedale di Motta di Livenza.
È presente in numerosi cda di aziende, gruppi bancari e fondazioni e ha una lunga esperienza in strutture confindustriali, in particolare Confindustria Veneto.
“Lo stato di salute delle imprese venete in questa fase è discretamente buono – afferma Gajo – Io non sono allarmista né troppo ottimista, sono in una saggia via di mezzo. Nel Nord-Est ci sono esempi clamorosi come la Luxottica ma, per tenerci nella media, ci sono aziende sane, serie e dove c’è molta voglia di fare, di innovare e di investire. Questo storicamente è nato nel dopoguerra, poi c’è stato un momento in cui abbiamo un po’ rallentato, e da locomotiva in alcuni momenti siamo diventati un trenino, e adesso secondo me stiamo di nuovo ripartendo”.
Il presidente onorario di Alcedo sgr ha sottolineato che, in questo territorio, la capacità imprenditoriale si è sviluppata anche in momenti difficili, ricordando la crisi del 2008-2009, che è stata molto lunga, il Covid, che ormai dura da più di due anni, e ora la guerra in Ucraina per la quale è difficile fare delle previsioni.
Rispetto al “mito della delocalizzazione”, portato avanti per lungo tempo anche da diverse imprese italiane, Gajo ha una posizione molto chiara: “In passato sembrava che delocalizzando avremmo potuto risolvere molti problemi, invece oggettivamente non è stato così. Io ricordo che una trentina di anni fa molti delocalizzavano in Romania, che addirittura pareva una succursale dell’industria italiana (soprattutto Timișoara). Il costo del lavoro è molto più basso, ma quello non è sufficiente, poi non trovi i tecnici e devi mandare quelli tuoi. Ho visto tanti che avevano delocalizzato, anche in Paesi diversi dalla Romania come l’Austria (per esempio la Carinzia aveva attratto molti imprenditori italiani), e che poi sono tornati indietro”.
Per Gajo la delocalizzazione, così come è stata pensata, in futuro rischia di funzionare poco ed è necessario trovare in loco la capacità di gestire bene le aziende investendo molto in innovazione, ricerca, formazione imprenditoriale e del personale.
“Se faremo così l’Italia potrà tornare ad essere una nazione con una maggiore consapevolezza della funzione imprenditoriale – continua – Una cosa che non dobbiamo dimenticare è che, finiti il Covid e la guerra, rimangono i clamorosi problemi mondiali del surriscaldamento globale, dell’inquinamento, della sovrappopolazione, della deforestazione e della cementificazione. Tutte cose che richiedono uno sforzo collettivo a lunga se non a lunghissima scadenza”.
Il presidente onorario di Alcedo sgr ha parlato anche delle dimensioni delle aziende trevigiane e venete e della loro possibilità di competere realmente nei mercati internazionali.
“Finché i mercati tiravano, ci si sviluppava e l’economia funzionava, bastava produrre e i mercati assorbivano – aggiunge – Oggi non è così, è molto più complesso: i mercati sono più ristretti e il futuro non è più così roseo. Se guardiamo ai problemi reali del mondo noi dovremmo ridurre un po’ i consumi e migliorarli. Quello che noi ci portiamo dietro è una dimensione troppo piccola, basata sull’imprenditoria poco attrezzata per affrontare le sfide del futuro. Bisogna che diventiamo più grandi perché così produciamo meglio, a costi più competitivi, abbiamo più forza e possiamo fare migliore logistica”.
Per Gajo l’inconveniente che può pesare più di tutti è la difficoltà di mettersi insieme, aspetto che contraddistingue molte realtà imprenditoriali presenti anche nel territorio veneto.
“C’è un po’ la sindrome del padrone – prosegue – ‘a casa mia sono padrone io’. Invece oggi io direi a qualunque imprenditore che avesse una dimensione medio-piccola in un certo mercato: ‘Guarda che quello non è il tuo concorrente, lo è se tu lo consideri tale ma potrebbe essere il tuo alleato’. Il proverbio ‘l’unione fa la forza’ non aveva nessun senso fino a dieci anni fa, perché tanto ognuno andava avanti e aveva i suoi risultati. Ma oggi non è più così: quindi una dimensione piccola non va bene”.
Gajo ha detto che anche gli artigiani dovrebbero unirsi, creando delle reti, e ha messo in luce l’esempio di alcune aziende che ne hanno assorbite altre diventando molto più grandi.
“In questo modo funziona meglio e a costi più competitivi la finanza, la stessa produzione e la distribuzione dei prodotti – conclude – Questa dimensione è un po’ critica ed è un fenomeno che non è così semplice da risolvere e richiede un periodo di tempo a medio termine. Non credo che in Italia, e nel Nord-est in particolare, questo processo verrà affrontato, e in parte risolto, a breve. Occorreranno da cinque a dieci anni, non meno. Però, se non si va in questa direzione, diventerà sempre più difficile per le aziende più piccole, che non riescono più ad essere competitive”.
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