Un lungo rettilineo divide Przemyśl da Medyka, località che rappresenta l’ultimo varco da oltrepassare per raggiungere il suolo ucraino in questa direzione. Si tratta di pochi chilometri, dissestati e rallentati dalla presenza di un cantiere aperto, dove il passaggio di autobus, pattuglie di polizia e altri veicoli speciali, è pressoché continuo.
Cento metri prima della frontiera vera e propria la polizia devia il traffico e tenta di dissuadere gli automobilisti a entrare in territorio ucraino: tra le auto in coda ci sono associazioni che portano provviste, mercenari, qualche giornalista (anche se la maggior parte ha evacuato Kiev nei giorni scorsi) e soprattutto ucraini che hanno deciso di tornare a casa per combattere o per cercare la propria gente. Questo piccolo villaggio, pacifico e silenzioso, non ha mai visto, probabilmente, una tale confusione.
A fianco al confine, presidiato dai militari e dalla polizia, c’è un vasto punto d’accoglienza all’aperto, dove il fumo dei falò nei secchi di latta brucia nelle narici e impregna gli abiti: sono l’unico modo per scaldarsi, specie quando cala la sera e le temperature raggiungono i meno sei gradi.
Ci muoviamo in una folla di famiglie in coda per un passaggio, cercando di non calpestare i bagagli o gli scatoloni messi a disposizione dei profughi. Delle bancarelle mettono a disposizione cibo caldo gratis e ai margini della via sono depositati scatoloni colmi di merendine e prodotti alimentari.
Guardando a est, verso la dogana, un lungo serpente di persone cola silenziosamente lungo una strada pedonale: specialmente donne, bambini e anziani. Qualche bambino piange, qualcun altro abbraccia forte chi è venuto a prenderli.
C’è chi viaggia leggero e chi invece ha portato con sé più di quanto potesse permettersi, grandi borsoni che sono costretti ad appoggiare dopo un centinaio di passi.
Quando i rifugiati arrivano in prossimità della strada dove passano gli autobus, alcuni volontari danno loro delle coperte calde: le persone vi si avvolgono e aspettano pazienti il loro turno, alzando il capo quando una persona con l’altoparlante nomina la loro destinazione.
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