Viaggio nella storia con il Museo della radio d’epoca di Cison di Valmarino: dagli apparecchi degli anni Venti fino ai successi dell’ingegner Virginio Floriani

Una galleria d’altri tempi immersa in varie frequenze sonore è l’esperienza offerta dal Museo della radio d’epoca di Cison di Valmarino, uno spazio dove è stata ricostruita la storia della radio, dagli anni Venti del Novecento fino agli anni Settanta.

Uno spazio curato da Lizio Brandalise, appassionato cultore della radio e curatore del museo che, amante di questi apparecchi fin da piccolo, ha “rispolverato” tale passione grazie a un caso fortuito: dipendente del Comune di Cison di Valmarino, un giorno ha notato una radio lasciata a fianco di un secchio per il vetro a Tovena, frazione dello stesso Comune, e da lì la passione di un tempo è all’improvviso riesplosa.

Quello di riparare le radio era il mestiere che volevo fare, poi mi sono occupato di elettrodomestici e ho lavorato per 25 anni per il Comune di Cison di Valmarino – ha raccontato -. Da qui, assieme a Rino Venezian (storico radiotecnico scomparso lo scorso 2008, ndr) che si occupava di radio proprio per mestiere, è arrivata l’idea di creare questo museo: facevamo vari giri per i mercatini e sia io che lui acquistavamo delle radio con i nostri risparmi”.

Una galleria di radio ospitata all’ultimo piano del teatro “La loggia” nella centrale piazza Roma a Cison di Valmarino, uno spazio pari a 250 metri quadrati, tutto dedicato alla storia degli anni passati.

Il museo, organizzato in maniera tale da accogliere sia gli appassionati del mondo delle frequenze sonore sia i semplici curiosi, è stato inaugurato il 24 aprile 2009 e, oltre alla sfilata di apparecchi di varie fogge e caratteristiche, complete di tutte le informazioni del caso, offre anche filmati d’epoca (con personaggi come Iva Zanicchi e Adriano Celentano negli anni del loro maggior successo) e manifesti relativi alle trasmissioni radiofoniche più in voga nei decenni passati, di cui uno riporta un’illustrazione firmata da Dino Buzzati.

Tutto sullo sfondo delle voci più note dei programmi trasmessi nelle varie epoche, tra cui le parole diffuse il 6 ottobre del 1924, data dell’inaugurazione della prima stazione radiofonica in Italia: un viaggio nel tempo, quindi, dove la radio diviene il mezzo per tracciare le fondamentali tappe storiche che si sono succedute

Ma è anche la storia di una passione, quella di Brandalise e di Venezian, per il recupero e la riparazione di apparecchi che, altrimenti, avrebbero avuto un destino differente da quello di essere messi in mostra.

Pezzi particolari, fatti arrivare anche dall’America, che narrano l’evoluzione tecnologica degli apparecchi radiofonici avvenuta non solo in Italia, ma anche all’estero e, allo stesso tempo, danno testimonianza di quello che è stato il cambio delle abitudini negli anni.

Dalle prime radio fonoincisori (una di queste è posizionata all’accesso al museo), dalle dimensioni di un vero e proprio mobile, alla radio “a cappello di Napoleone” e “a lanterna”, fino alle radio da borsetta e alla prima radio a transistor italiana, risalente al periodo tra le fine degli anni cinquanta e i primi degli anni Sessanta.

Senza dimenticare la radio della speranza posta appena all’ingresso del museo, ovvero “Radio Caterina”, costruita dai prigionieri nei lager nazisti con pochi mezzi di fortuna (tra cui una lametta e un mozzicone di matita), utilizzata per captare le frequenze radio e capire se gli Alleati fossero in arrivo per poterli liberare.

“Una volta utilizzata, questa radio di fortuna veniva poi smontata e rimontata ogni sera: diversi prigionieri tenevano con sé un pezzo, in maniera tale da non destare sospetti – ha raccontato Lizio Brandalise -. C’è poi la vicenda dell’utilizzo della radio durante gli anni del fascismo: ce n’era una nei punti strategici, come ad esempio nelle scuole, dove venivano fatte ascoltare ai bimbi le parole di Mussolini”.

Una galleria di radio dove, inoltre, si intrecciano le vicende di due personaggi a cui Brandalise dimostra di essere molto affezionato: il primo è Nikola Tesla (1856-1943), fisico e ingegnere elettronico noto per l’invenzione della corrente alternata, che durante la sua carriera depositò circa 280 brevetti. Nel museo si trova la cosiddetta “bobina di Tesla”.

Il secondo è invece un cisonese, ovvero Virginio Floriani (1906-2000), ingegnere, imprenditore e fondatore nel 1946 della Telettra (acronimo di “Telefonia, elettronica, radio”), azienda specializzata nella progettazione e produzione di apparati per le telecomunicazioni, che negli anni seppe raggiungere una significativa dimensione nazionale e internazionale.

Floriani lavorò prima all’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) e, successivamente, nel 1935 fu assunto alla Safar di Milano, nel ruolo di ingegnere addetto allo sviluppo di nuove tecniche radioelettriche: Floriani fu colui che diede il “la” alla tecnica a multiplazione di frequenza, che consentiva la trasmissione di più di una conversazione telefonica contemporaneamente, senza che le due si disturbassero a vicenda. Una tecnica che, negli anni e con ulteriori sviluppi, è attualmente utilizzata per l’Adsl.

La sua intuizione lo portò a prevedere che, durante la seconda ripresa postbellica, ci sarebbe stato un forte sviluppo della rete telefonica e ciò lo condusse alla fondazione della Telettra. Floriani, inoltre, è da ricordare anche per l’omonima fondazione, creata assieme alla moglie Loredana Carbone a Milano nel 1977, con l’obiettivo di assistere i malati oncologici.

Ora il prossimo tassello del Museo, secondo il progetto e gli obiettivi di Lizio Brandalise, è ricordare proprio questo imprenditore, così legato al territorio cisonese. 

Un desiderio che racconta, mentre mostra il primo esemplare di telefono portatile, costruito proprio dall’azienda di Floriani e che si trovava a bordo dell’aereo dell’imprenditore ed editore Carlo De Benedetti: “Voglio ricavare una stanza, a fini didattici, per ricordare anche la sua figura”.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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